Per tanti sono festività con la cinghia tirata. Paola Eicher, direttrice del Soccorso d'inverno: «Molte famiglie sotto pressione».
LUGANO - Poveri da fare paura. Non è una frase a effetto: il problema nella Svizzera italiana è sempre più diffuso. Secondo il primo rapporto sociale del Cantone (2023), in Ticino sono circa 20'000 le persone che vivono una condizione di povertà. Circa il 7,4% della popolazione. Un dato che potrebbe raddoppiare senza gli aiuti sociali. Tradotto: per molte persone queste sono festività al risparmio. Lo conferma Paola Eicher, direttrice del Soccorso d'inverno.
Quanti sono gli abitanti della Svizzera italiana che si rivolgono a voi in un anno?
«Negli ultimi 12 mesi, abbiamo gestito 891 casi, aiutando 1'473 persone, di cui 549 bambini. È un dato che fa riflettere: rispetto agli anni precedenti la pandemia, le richieste di aiuto sono triplicate. Questi numeri mostrano quanto la povertà stia diventando un problema sempre più diffuso. Anche in fasce della popolazione che un tempo si sentivano sicure».
Il periodo delle feste natalizie è tra i più delicati?
«Assolutamente sì. Le festività spesso accrescono le difficoltà economiche. Molte famiglie sentono la pressione di volere regalare serenità ai propri cari, ma si trovano a lottare con spese aggiuntive, come quelle per il riscaldamento, gli abiti invernali o i regali. In questi momenti, la sensazione di non poter fare abbastanza diventa ancora più dolorosa, ed è per questo che il nostro intervento anche in questo periodo è così importante».
Quali sono le spese che più pesano?
«Le spese che gravano maggiormente sui bilanci familiari includono: le spese sanitarie non coperte dall'assicurazione, le bollette energetiche, l'affitto che spesso consuma gran parte del reddito disponibile. Basta una fattura imprevista, come 300 franchi per una riparazione domestica, per destabilizzare una famiglia che vive già sul filo del rasoio».
Qual è la tipologia di persona che si rivolge a voi?
«Ci sono famiglie monoparentali, anziani, ma anche un numero crescente di "working poor": persone che lavorano, a volte anche a tempo pieno, ma che non riescono a coprire tutte le spese essenziali. Un esempio emblematico è quello di una giovane coppia con un figlio piccolo. Nonostante entrambi lavorassero, l’aumento delle bollette e dell’affitto li ha messi in crisi, costringendoli a scegliere tra pagare la mensa scolastica del bambino o coprire l’affitto».
Ci si vergogna a rivolgersi a voi?
«Sì, la vergogna è un ostacolo significativo. Molte persone esitano a chiedere aiuto per paura di essere giudicate. Questo vale soprattutto per chi ha lavorato tutta la vita, ha acquistato una casa o un terreno e si trova in difficoltà per la prima volta. Una volta superata questa barriera, però, queste persone spesso esprimono sollievo e gratitudine. Il nostro impegno è anche quello di abbattere il muro dello stigma e normalizzare la richiesta di aiuto».
Un aneddoto da raccontare?
«Un caso che ci ha colpito profondamente è quello di una donna di 58 anni. Dopo avere perso il lavoro a causa di una ristrutturazione aziendale, si è trasferita dai genitori in una delle valli del Ticino per assisterli, ridurre i costi ed evitare di richiedere l’assistenza. Purtroppo, questa decisione ha fatto perdere ai genitori l’accesso agli aiuti complementari».
E ora?
«Ora si ritrovano tutti in una situazione drammatica: non hanno le risorse per acquistare la nafta necessaria a riscaldare la casa e rischiano di passare tutte le festività al freddo. All'età di questa donna ritrovare un lavoro è quasi impossibile. Un nostro aiuto, puntuale e mirato, fa la differenza e le permette di affrontare l’inverno con dignità».