Yvonne Ballestra Cotti, Candidata per il Centro al Municipio di Locarno
In Svizzera ormai il 94% degli abitanti usa internet, con percentuali che sono elevatissime ormai perfino nella fascia di età «over 65». Come sappiamo tutti, giovani e giovanissimi sono ancora più avanti, e vivono in un mondo diverso rispetto a noi adulti cresciuti «analogici» – per le nuove generazioni, infatti, i dispositivi mobili sono diventati protagonisti assoluti in ogni ambito dell’esistenza.
Una lettura sbrigativa di questi dati, per quanto veri, ha indotto negli ultimi anni una parte della politica ad abbracciare la digitalizzazione in modo acritico. Si sono così fatti largo anche in Svizzera alcuni progetti per portare le nuove tecnologie in aula, fin dai primi anni della nostra scuola dell’obbligo. Come per molte altre evoluzioni della società, i Paesi scandinavi sono stati pionieri anche nella digitalizzazione nelle scuole. Eppure, in Danimarca e Finlandia i ricercatori stanno ora ingranando la retromarcia: non ci sarebbero infatti prove scientifiche che i supporti elettronici favoriscano l'apprendimento.
Così, mentre diversi Cantoni svizzeri stanno affannandosi per dotare gli alunni di tablet già alle elementari, chi si era mosso in anticipo rispetto a noi sta già tornando sui propri passi. Queste riflessioni si collegano alla mia esperienza di docente, attiva da dieci anni nel settore post-obbligatorio. Qualche giorno fa, per esempio, ho sollecitato la mia classe – composta di allieve e allievi di età compresa fra 15 e 18 anni – su alcuni progetti di «gamification», che puntano a prendere quel che di buono c’è nei videogiochi per rendere più attraente lo studio di alcune materie scolastiche. La vivace discussione che è scaturita dal mio impulso ha portato con sé qualche sorpresa, visto che il sentimento prevalente – in un campione della «generazione Z» certamente minuscolo, ma forse significativo – riguardava il fortissimo bisogno di potere contare su contatti umani reali.
Credo si tratti di un segnale da non sottovalutare, specialmente dopo il periodo di svolta personale che ognuno di noi ha vissuto nel periodo della pandemia. La scuola è uno dei campi nei quali la libertà d’azione dei Comuni è ancora significativa. Come aspirante municipale, oltre che come insegnante, è quindi per me naturale riflettere a fondo su questo tema – nella convinzione che le nostre aule siano un luogo nel quale le scelte politiche hanno davvero il potere di modificare il futuro.
Con tutta l’attenzione che la digitalizzazione merita, credo quindi che la scuola comunale del futuro dovrà concentrarsi anzitutto nel curare la qualità delle relazioni umane, fra tutte le persone di cui è composta – allievi, insegnanti, genitori, personale non docente. Solo se la trasmissione del sapere rimarrà una questione umana, infatti, potremo fare sì che insieme alle nozioni siano condivisi con le nuove generazioni anche i valori sui quali si fonda la nostra democrazia – dalla libertà d'espressione all'uguaglianza fra donne e uomini, dalla risoluzione pacifica dei conflitti al senso di responsabilità che serve per costruirsi una vita appagante.