L'angoscia di Fiorenzo Dadò, valmaggese doc, mentre sfoglia il libro "Vallemaggia devastata": «Berna ha soldi per tutto. Aiuti anche noi».
VALLEMAGGIA - «Guardare questa foto mi soffoca l'anima. Più di tutte le altre». Fiorenzo Dadò fissa immobile quell’immagine. Sono passati sei mesi dal disastro del 30 giugno. Ma il suo cuore valmaggese è ancora profondamente turbato. La foto in questione è stata scattata a Fontana, in Valle Bavona. Spicca nel libro "Vallemaggia devastata" scritto con la giornalista Cristina Ferrari e pubblicato recentemente dalla casa editrice di famiglia.
Perché proprio quella foto?
«Si vede la casa in cui sono morte tre donne. È distrutta. Sventrata. Si notano ancora i loro vestiti appesi. E poi in un dettaglio, la porta aperta. In cerca di una fuga. La guardo e penso agli ultimi istanti di vita di queste persone».
Anche lei in quella tragica notte si trovava in Valle Bavona, a Roseto.
«E infatti alla mattina sono passato proprio dalla casa di Fontana. L'ho osservata coi miei occhi. Sapevo che quelle tre donne erano morte poche ore prima. Riguardare questa foto mi smuove tante emozioni. Penso al terrore che possono avere vissuto. Alla vita che se ne va nel cercare di sopravvivere a qualcosa di immane. Hanno tentato di scappare e sono state travolte appena fuori casa. Alcuni metri e si sarebbero salvate».
Perché ha voluto questo libro?
«Le ferite nel territorio resteranno. Quello che scompare nelle vicende umane sono i sentimenti che ha vissuto la gente. Le emozioni. La paura. Il terrore. La vicinanza di chi ha portato solidarietà. Questo libro è per non dimenticare».
Tra le otto vittime di quella notte c'è un giovane di Cavergno mai trovato, probabilmente scomparso in Lavizzara.
«Provo un grande rincrescimento. Soprattutto verso i famigliari che non hanno potuto congedarsi dal loro caro, elaborare il lutto, sapere. Così non ci si dà pace, si resta sospesi, nel dubbio, è una lacerazione che non si rimargina. Questo giovane è cresciuto a Cavergno, è un figlio della valle. Il dolore dei suoi famigliari deve essere immane e avvolge tutti noi».
Sullo sfondo intanto c'è la Confederazione che non intende aiutare ulteriormente le zone disastrate dell'Alta Vallemaggia.
«Ho sentito tante parole. Tanti proclami. Ma i fatti purtroppo sono questi. Il giorno dopo la tragedia avevamo sul posto la presidente della Confederazione Viola Amherd. Era venuta vestita da montagna. Voleva vedere il disastro coi suoi occhi. Nessuno è stato in grado di metterle a disposizione un elicottero. Dicevano che erano tutti occupati».
Quanto ha pesato questo episodio?
«Dal mio punto di vista questa è stata una mossa deleteria. Un conto è vedere le foto su un telefonino. Un conto è constatare coi propri occhi cosa è accaduto. La signora Amherd avrebbe potuto portare a Berna una testimonianza importante, viva. In questo noi ticinesi dobbiamo recitare il "mea culpa". E poi c'è Ignazio Cassis. Anzi, verrebbe da dire che non c'è».
In che senso?
«È un consigliere federale che si occupa di affari esteri, d'accordo. Ma è anche un rappresentante della Svizzera italiana. In questi mesi non ha mai sentito l'esigenza di venire in Alta Vallemaggia e incontrare la sua gente. Gente in difficoltà».
Il Governo ticinese ora vuole incontrare il Consiglio federale.
«È fondamentale. Anche perché un incontro ufficiale per discutere seriamente su questo tema non c'è mai stato».
La Confederazione al momento dice di non avere margini legali per fare di più. Che ne pensa?
«Si stanziano miliardi per situazioni straordinarie. Quello che hanno vissuto il Ticino, i Grigioni e il Vallese è altrettanto straordinario. Ci sono soldi per l'esercito e per un sacco di altre cose. E mi volete dire che non ci sono i soldi per la nostra popolazione in difficoltà? La legge c'è, ma non è un dogma. Va adattata al contesto, che chiede flessibilità. Un contesto eccezionale appunto».
In pochi lo ricordano: l'Alta Vallemaggia ha fatto tanto per la Confederazione in passato.
«È così. L'unica ricchezza che avevamo era l'acqua. Circa 80 anni fa l'abbiamo "svenduta" al resto della Svizzera per produrre energia elettrica. Nel nome degli interessi nazionali, a favore delle regioni industriali d’Oltralpe bisognose di energia. Questa per la Confederazione sarebbe l'occasione per dimostrare una certa riconoscenza».
Quali sono i lavori più urgenti che necessiterebbero soldi dalla Confederazione?
«Ci sono abitati e zone da mettere in sicurezza. Ci sono fiumi da incanalare. C'è materiale da asportare. Ci sono ripari da costruire, territori da ricostruire».
Qualcuno dice che non vale la pena investire in zone così periferiche.
«Questa è una mentalità anti svizzera. Di questo passo allora non investiremo più neanche nelle aree urbane perché c'è chi muore a causa dello smog e del caldo estivo. La Svizzera è costruita unendo le minoranze e le periferie. La nostra Storia è così. La coesione nazionale bisogna volerla e coltivarla, sempre. Coi fatti».