Viaggio nella metropoli, da due settimane in zona gialla. Ecco chi ha non ha mai potuto riaprire tra ristoranti e negozi
Nel 2020, nel settore della ristorazione si sono contate oltre 440 chiusure definitive tra Milano e provincia.
MILANO - Il panorama desolante che offriva la cosiddetta zona rossa con negozi chiusi e ristoranti e bar costretti a servire i clienti solo con il servizio di asporto, ora sembra un ricordo. .Da due settimane, infatti, Milano è tornata in zona gialla, che, in base al decreto del presidente del Consiglio dei ministri italiano, vuol dire possibilità di andare fuori dal proprio comune, tornare in ufficio, andare a pranzo al ristorante e a fare shopping, dato che ora i negozi sono aperti. Nel weekend scorso c'è stato il primo grande pienone e affollamenti in negozi, ristoranti e zone di svago. Una boccata di ossigeno dopo mesi di incertezze soprattutto per i commercianti che, come molte altre categorie, hanno sofferto e soffrono la pandemia.
Sono spariti 442 ristoranti - Secondo i dati di Movimprese, infatti, nel 2020 le attività operanti nella sola ristorazione a Milano e provincia sono diminuite di 442 unità e c’è da prevedere che molte saranno coloro che cesseranno l’attività anche in questi primi mesi del 2021. Basta girare la città per rendersene conto. Il nostro viaggio comincia da via Torino, una delle arterie commerciali più importanti del centro cittadino che termina in piazza Duomo. Solo nel primo tratto si contano sette negozi vuoti e chiusi che fino a poco tempo fa erano invece aperti. Diversi gli esercizi con le serrande abbassate anche in Galleria Vittorio Emanuele, il salotto elegante della città. Il primo era stato, nelle scorse settimane, un negozio di cravatte seguito da uno di coltelli e pelletteria che vendeva in quel luogo da oltre cento anni. E se alcune delle saracinesche ora chiuse saranno sostituite da brand internazionali che si sono aggiudicati il bando del Comune, a soffrire sono i locali storici. Biffi è chiuso così come altri due ristoranti situati verso l’uscita di piazza della Scala. “Aprire non ha senso, si perde ancora di più che stare chiusi – racconta a tio.ch Pier Galli del ristorante Galleria che da decenni gestisce con la sua famiglia il locale da 60 coperti e 37 dipendenti ora in cassa integrazione- Prima del Covid servivamo a ogni ora clienti provenienti soprattutto dall’estero: se almeno fosse consentita l’apertura per la cena potremmo contenere i costi e mantenere alcuni clienti affezionati”.
Montenapoleone, il salotto chic di Milano - Spostandoci nel cosiddetto quadrilatero della moda la situazione non migliora di molto. Se in via Montenapoleone, nonostante il deserto di turisti stranieri sui marciapiedi e la noia degli eleganti commessi che scrutano con preoccupazione al di là delle vetrine, non si registrano ancora chiusure, nella vicina via della Spiga in alcuni negozi è apposto il cartello affittasi mentre alcuni altri o sono chiusi o in via di una ristrutturazione che tarda a completarsi.
Corso Bueno Aires, la via dei negozi - Diversa la situazione in corso Buenos Aires che, con i suoi 300 negozi, è la via commerciale più lunga d’Italia. Pochi i buchi nella interminabile fila di negozi distribuiti sui due lati dei 1600 metri di lunghezza. A soffrire invece le attività delle vie limitrofe dove il passaggio di persone è decisamente minore. Nel primo tratto di una di queste ci si imbatte in diversi esercizi chiusi e colpisce vedere il cinema Arcobaleno desolatamente chiuso e abitato da senza fissa dimora, altra faccia della stessa crisi generata o solo accelerata dalla pandemia.
Corso Vercelli - Una situazione ripetuta anche in corso Vercelli, corso di Porta Romana e corso XXII Marzo, arterie di grande passaggio e frequentate da clienti per lo più italiani. “I negozi che al momento sono chiusi in questi punti sono davvero pochi – conferma a tio.ch Gabriel Meghnagi, presidente della Rete associativa vie Confcommercio di Milano – e riapriranno a breve: chi ha chiuso lo ha deciso prima del Covid anche se sicuramente i commercianti stanno soffrendo. Diversa la situazione nelle vie adiacenti dove le imprese sono per lo più famigliari e senza grandi gruppi alle spalle: in questi casi se si chiude è difficile riaprire”, aggiunge Meghnagi auspicando che ai ristoratori sia concesso di tenere aperto almeno fino alle 22.00.
Una ventata di ottimismo è rappresentata dalla riapertura di mostre e musei che stanno a poco a poco riaprendo i battenti, in alcuni casi registrando anche alcune timide code. All’appello mancano i cinema e i teatri e l’auspicio di tutti è che a breve, nel rispetto delle norme e del distanziamento, anche loro possano tornare alla normalità.