Il fondatore di WikiLeaks si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh
LONDRA - Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato contagiato dal virus del Covid nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, alle porte di Londra, dove è in attesa di conoscere il proprio destino dopo il via libera dei mesi scorsi della giustizia britannica alla sua estradizione negli Usa, che gli danno la caccia da anni. Lo ha reso noto la moglie, e avvocata sudafricana, Stella Morris, citata oggi dai media.
Morris ha precisato che il 51enne attivista e giornalista australiano è stato testato positivo sabato, giorno dell'ultima mobilitazione internazionale di suoi sostenitori contro la consegna a Washington (incluso un migliaia di persone che a Londra ha formato una catena umana attorno all'edificio del Parlamento di Westminster). Ha aggiunto di essere "evidentemente preoccupata" per la sua salute - giudicata in passato a rischio da diversi medici - tanto più che il marito, sui cui sintomi attuali non sono stati forniti per ora dettagli, resta recluso in isolamento.
Julian Assange è in prigione nel Regno Unito fin dal 2019, dopo essersi visto revocare l'asilo dall'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove era rimasto rifugiato per 7 anni. E pur non avendo più da tempo alcuna pendenza con la giustizia britannica.
Nei mesi scorsi, l'estradizione ha ricevuto il via libera tecnico finale dalla Corte Suprema del Regno, dopo una serie di gradi di giudizio; ma restano ancora pendenti ricorsi tecnici contro l'esecuzione del provvedimento politico finale, che spetta al ministro dell'Interno. WikiLeaks, diverse organizzazioni internazionali dei diritti umani, associazioni di giornalisti e organi consultivi dell'Onu hanno ripetutamente denunciato il suo caso come una persecuzione, imputando agli Usa di volergli far pagare il disvelamento d'imbarazzanti documenti segreti diffusi dalla stessa WikiLeaks una decina di anni orsono in partnership con alcune delle testate giornalistiche più prestigiose al mondo: documenti contenenti fra l'altro evidenze di crimini di guerra commessi in Iraq e Afghanistan. L'attivista australiano rischia sulla carta oltre oceano una condanna monstre fino a 175 anni di carcere, avendo Washington evocato nei suoi confronti pure l'accusa di "spionaggio": mai sollevata in precedenza nel Paese per una vicenda di pubblicazione mediatica di qualunque file riservato.