La giustizia belga sta scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora. Tra i principali protagonisti gli 007 di Doha, Rabat e Abu Dhabi.
Giorgi: «Facevo parte di un'organizzazione utilizzata dal Marocco e dal Qatar per interferire e condizionare gli affari europe».
BRUXELLES - Le prime confessioni sono arrivate. Ora la giustizia belga segue la strada delle tangenti per scovare tutti i politici e i funzionari europei coinvolti nel Qatargate, un gruppo ancora da qualificare ma che potrebbe essere «molto ampio». E il cui deus ex machina resta agli occhi di tutti l'ex eurodeputato socialista Antonio Panzeri - il Panzer - spalleggiato dal suo factotum Francesco Giorgi, messi entrambi a libro paga dagli 007 marocchini.
Un dettaglio emerso in modo sempre più nitido dopo l'ammissione fiume di quattro ore dello stesso Giorgi, e che tratteggia i contorni di un intrigo internazionale innescato da uno scontro tutto arabo tra i servizi di intelligence di Doha, Rabat e Abu Dhabi.
Nel frattempo, l'ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, dal carcere di Haren rivendica la sua innocenza e assicura che non verrà sacrificata sull'altare come Ifigenia nel mito greco. Ora però a metterla nei guai c'è anche la richiesta della revoca della sua immunità parlamentare inoltrata dalla procura europea (Eppo).
A quasi una settimana dallo scoppio dello scandalo che sta terremotando l'Europa le prime carte della maxi-inchiesta hanno restituito indicazioni più nette. Ora ad aiutare gli inquirenti a fare chiarezza potrebbe essere Giorgi, a lungo braccio destro di Panzeri come esperto di Maghreb. Davanti agli inquirenti l'istruttore di vela di Abbiategrasso ha riconosciuto di aver fatto parte di un'organizzazione utilizzata dal Marocco e dal Qatar per interferire e condizionare gli affari europei. Ma ha anche cercato di farsi in gran parte carico delle accuse: il suo ruolo - ha rivelato - era quello di gestire i contanti, comunque tutti suoi e non della compagna Kaili.
Una versione colta al balzo dall'avvocato della politica ellenica, Michalis Dimitrakopoulos, che alla tv greca ANT1 ha escluso ogni coinvolgimento della sua assistita nella vicenda. Tranne per il fatto che «lei stessa era nella casa in cui è stato trovato il denaro».
All'origine di tutto però ci sarebbe stata una soffiata arrivata direttamente dagli Emirati Arabi Uniti all'intelligence del Belgio, che avrebbe portato gli 007 sulle tracce di un centro di studi del Marocco a Bruxelles dietro il quale si nascondeva una centrale di spionaggio collegata con l'ambasciatore marocchino in Polonia Abderrahim Atmoun, citato nelle carte come il trait d'union con Panzeri e Giorgi.
E tra i servizi europei che hanno collaborato alla fase di intelligence nell'indagine ci sono anche le agenzie italiane Aise ed Aisi. Una circostanza che, si è appreso da fonti qualificate, sarebbe legata proprio alla genesi della vicenda: quando l'indagine è partita, nel 2021, le prime verifiche avrebbero infatti riguardato aspetti legati alla sicurezza nazionale aprendo una serie di contatti tra gli 007 di vari Paesi, tra i quali anche l'Italia. Poi la vicenda è stata «declassificata» passando nelle mani della magistratura ordinaria belga come un fatto di corruzione internazionale, comunque «molto grave».
Dietro alle mazzette e ai regali, secondo quanto riferito dalla procura di Milano, sarebbe stato individuato un gruppo «indeterminato e molto ampio» e sarebbero implicate «ingenti somme di denaro» in cambio dell'attività politica nelle strutture europee.
Nella sua confessione Giorgi avrebbe anche indicato di sospettare che Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, entrambi europarlamentari del gruppo S&D, abbiano preso soldi proprio tramite Panzeri. Cozzolino si chiama fuori «indignato» assicurando di essere del tutto estraneo alle indagini. Ma gli elementi emersi danno nuova concretezza all'ipotesi che lo scandalo possa ricadere a valanga su altri politici e funzionari Ue, facendo crollare l'intera architettura comunitaria.
Un'ipotesi a cui nelle ultime ore si è aggiunta la richiesta della procura europea di revocare l'immunità di Kaili, ma anche dell'eurodeputata Maria Spyraki (Ppe), per sospetta frode nella gestione della retribuzione degli assistenti parlamentari accreditati. Il tutto mentre la procura federale belga ha presentato ricorso contro la decisione con cui ieri la camera di consiglio aveva deciso di riconoscere a Niccolò Figà-Talamanca, responsabile della Ong "No Peace Without Justice", il braccialetto elettronico.
Per ora gli avvocati degli arrestati restano chiusi nel silenzio: nessun commento per la stampa.