Focolai di rabbia, di Ebola e virus Nipah stroncati sul nascere grazie a un meccanismo di risposta rapido, coordinato e preparato.
Il report interattivo dell'organizzazione no profit Resolve to Save Lives: «Investimenti avveduti, sistemi sanitari efficienti e migliori livelli di coordinamento e comunicazione consentono di identificare, fermare e prevenire le infezioni su larga scala»
Che possa dirsi conclusa o meno - l'esperto virologo tedesco Christian Drosten ne è convinto, ma in Cina difficilmente la penseranno come lui in questo momento -, la pandemia di Covid-19 è stata uno spartiacque della storia umana. Come lo sono state altre prima di lei; si pensi alla cosiddetta influenza spagnola, poco più di un secolo fa, o alle pandemie di peste dei secoli passati. Ma il coronavirus è stato uno spartiacque anche perché ha colto tutti impreparati.
Misure inadeguate. Piani pandemici vetusti e impolverati. E, a seguire, i lockdown e l'obbligo di mascherine. Il dover restare in casa, varcando la soglia unicamente per necessità inderogabili. Scenari quasi surreali che tutti ricordiamo. E poi ci sono state le centinaia di milioni di contagi e i milioni di morti. Certo, sul fatto che quella del Covid sia stata la proverbiale "tempesta perfetta" è, a posteriori, difficile sindacare. Ma lo è anche farlo sul fatto che si poteva fare meglio. Come in effetti è avvenuto in altri casi.
Ci sono epidemie che non sono mai avvenute. E che, per definizione, «sono molto meno visibili di quelle che invece si manifestano», come si legge nelle prime righe di un rapporto interattivo pubblicato nel corso di questi mesi da Resolve to Save Lives, un'organizzazione no profit, fondata nel 2017, che collabora con i paesi nell'ambito della prevenzione. «Gli esperti in materia di salute pubblica prevengono le epidemie ogni giorno, in tutto il mondo»; perché se da un lato le malattie infettive sono un problema inevitabile, dall'altro «abbiamo il potere di fermarle prima che possano diffondersi». E i denominatori comuni che emergono da queste storie "fantasma" di successo sono essenzialmente quattro: la velocità; il coordinamento a livello locale; il coinvolgimento e la fiducia di una comunità nel proprio sistema sanitario e, infine, la necessità di personale sanitario adeguatamente formato e attrezzato.
Guinea e Congo, le epidemie di virus Ebola
«Quando i paesi si preparano sistematicamente e agiscono con prontezza, possono prevenire le epidemie». O perlomeno contenerle e limitarne l'estensione. Lo sforzo richiede risorse, un agile coordinamento e investimenti mirati, ma paga. E ben lo dimostrano i casi che vengono documentati nel report. A partire dalle epidemie di virus Ebola che si sono innescate negli anni recenti in Africa occidentale e centrale; rispettivamente in Guinea e nella Repubblica Democratica del Congo. Il confronto, nel primo caso, tra le cifre dell'epidemia del 2014 e quella del 2021 parla da sé: 889 giorni contro 153; oltre 28mila casi (e 11mila morti) contro 23 (e 12 morti) e i costi per contenere l'epidemia scesi da oltre 3.6 miliardi a meno di 100 milioni di dollari. Nel primo quadro l'epidemia fu confermata a quattro mesi dall'identificazione del primo caso (a cui si aggiunsero altri trenta giorni senza controlli alle frontiere). Nel secondo caso invece l'allerta scattò a un solo mese dalla prima infezione.
Rabbia e virus Nipah: quando l'orologio corre
Sempre nel 2021, ma nello stato indiano del Kerala, è stato ristretto un potenziale focolaio d'infezione da virus Nipah a un singolo caso. Si parla di un virus che circola tra i pipistrelli, per cui non esiste un vaccino e che ha un tasso di mortalità per gli essere umani che oscilla tra il 50% e il 75%.
Il caso risale alla fine di agosto del 2021. Protagonista un giovane di 12 anni, portato in una clinica locale per il manifestarsi di mal di testa e una leggera febbre. Nei tre giorni successivi i sintomi peggiorano. Il ragazzo, nel frattempo trasferito in un altro ospedale, è disorientato e perde conoscenza. Ma il personale sanitario locale ha già fronteggiato un'infezione di quel tipo. È preparato. Il 4 settembre il caso di Nipah è confermato e le autorità sanitarie implementano tutte le misure - a livello locale, regionale e statale - per contenere una diffusione del virus. Non servirà purtroppo a salvare la vita del 12enne, che purtroppo morirà il giorno successivo. Ma l'epidemia fu stroncata sul nascere.
Più recentemente, nel marzo di quest'anno, la reazione tempestiva messa in campo dalle autorità sanitarie ha contenuto un potenziale focolaio di rabbia; una malattia virale che, in assenza di trattamenti immediati, ha quasi sempre un esito nefasto. Il caso è avvenuto in Tanzania, un paese in cui questa malattia uccide in media 1'500 persone ogni anno. Il protagonista, anche in questo caso, è un ragazzino di 12 anni, morsicato da un cane un paio di settimane prima e deceduto un paio d'ore dopo il suo arrivo in ospedale. Nel giro di 24 ore, il personale medico ha notificato il caso - in quel momento ancora presunto - di rabbia alle autorità sanitarie.
A partire da quel momento sono stati identificati altri tre giovani che si occupavano, con il 12enne, di gestire il bestiame, ed erano stati a loro volta morsicati nella stessa occasione. Dagli accertamenti successivi è emerso che anche cinque familiari, tutti adulti, del ragazzino deceduto avevano avuto contatti con quest'ultimo. E si va oltre, perché il team ha trovato anche altre due ragazze, morsicate da un altro esemplare di cane. Dieci persone quindi, potenzialmente in pericolo e in grado di trasmettere il virus. Tutte sottoposte alla profilassi post esposizione. Tutte sane e salve. E senza diffusione del virus.
Una corsa contro il tempo. Vinta. «Queste epidemie che non sono infine avvenute mostrano come investimenti avveduti, sistemi sanitari efficienti e migliori livelli di coordinamento e comunicazione» consentono di «identificare, fermare e prevenire le infezioni su larga scala».