Da Kabul, i racconti delle ragazze minacciate dai talebani e costrette ad abbandonare la passione per l'attività fisica e non solo
KABUL - Avevano persino accettato di essere percosse da familiari e schernite dai vicini. Erano riuscite ad andare oltre, continuando così a praticare il proprio sport preferito, inseguendo, a qualunque costo, non solo un pallone da calcio ma soprattutto i sogni di libertà e di uguaglianza. Oggi però per le ragazze, per le donne di Kabul nulla si può fare contro le minacce dei talebani che, di fatto, hanno vietato la pratica di qualsiasi tipo di disciplina sportiva, anche in forma privata.
La storia di Noura - A essere privata della passione per il gioco del calcio è la 20enne Noura che, all'agenzia Usa Associated Press, racconta di non essere «più la stessa persona» e che «da quando sono arrivati i talebani, mi sento come se fossi morta». La ragazza giocava dall'età di nove anni, in un quartiere povero di Kabul. Fu notata da un allenatore che la convinse a entrare in una squadra femminile. A 13 anni fu votata come una delle migliori promesse e la sua foto fu trasmessa in TV. La madre lo venne a sapere e la picchiò. «Quel giorno è stato molto amaro - racconta Noura ad AP - l'inizio di giorni sempre peggiori». Fino ai tempi della fuga americana dal Paese, quando la famiglia della ragazza le tenne nascosta la telefonata del suo allenatore, che le avrebbe consentito di fuggire da Kabul nei giorni drammatici dell'assalto all’aeroporto. Per la delusione che ne conseguì, Noura racconta di essersi inflitta dei tagli ai polsi: «Il mondo era diventato oscuro per me».
Come Noura, anche altre ragazze e donne afghane confermano di aver ricevuto intimidazioni a mezzo telefono o anche direttamente. Ma nonostante ciò hanno accettato di posare, orgogliose, davanti all'obiettivo del fotografo dell'agenzia americana: a testa alta con le loro attrezzature e divise sportive, seppur nascoste dietro il burqa, con vesti lunghe e cappucci sulla testa.
C'è chi prova a non arrendersi - Sarina ha la passione per le arti marziali e racconta che, alla notizia dell'avanzata talebana, mentre era impegnata in un torneo femminile a Kabul, fu costretta a scappare, insieme a tutte le compagne. Da allora non ha più partecipato ad alcuna competizione. La giovane fighter aveva poi tentato d'impartire lezioni private ma le giovani atlete sono state tutte arrestate a seguito di un'irruzione in palestra. Dopo un periodo di detenzione, fatto di umiliazioni costanti, e grazie alla mediazione di qualche anziano, sono state rilasciate, dietro promessa di non indossare mai più i guantoni da combattimento. Ma Sarina non si arrende: «La vita è diventata molto difficile per me, ma sono una combattente, quindi continuerò a vivere e combattere».
Le altre limitazioni - Ma non solo divieto di praticare sport. Dal ritorno dei talebani, nell'agosto del 2021, per le donne è fatto divieto anche di esporre il viso i pubblico, di frequentare scuole elementari e superiori. Di raggiungere parchi e palestre. Per loro poi, introdotte anche limitazioni al lavoro fuori casa.
Promesse mai mantenute - A detta di un portavoce dell'Organizzazione sportiva dei talebani e del Comitato olimpico nazionale, sentito dall'agenzia statunitense, le autorità del paese starebbero cercando la modalità (impianti sportivi separati) per riavviare lo sport in rosa. Ma al momento non ci sarebbero né informazioni sulle tempistiche né sui fondi necessari. Tante promesse, quelle talebane, tutte finora disattese.