Tamponi, squadre blindate e isolamento ad Abu Dhabi: la testimonianza di Mauro Gianetti, dirigente della Uae Emirates.
L'ex ciclista, argento ai Mondiali del '96, ha dovuto prendere una decisione importante dopo la sospensione dell'UAE Tour: «Potevamo rientrare, ma non ho voluto correre rischi. Per Ulissi, lontano dalla moglie, è stata durissima: in quei giorni è nata sua figlia»
ABU DHABI - «Sarebbe bello svegliarsi e scoprire che è tutto uno scherzo, tanto più in questi giorni con il primo d’aprile appena passato», esordisce così il ticinese Mauro Gianetti, Ceo e Team Principal della Uae Emirates, che ha avuto 8 persone - tra corridori e membri dello staff - positive al Covid-19.
Se la pandemia ha travolto tutto e tutti, con eventi cancellati o posticipati in Europa come nel resto del mondo, il 56enne - medaglia d’argento ai Mondiali del 1996 - ha visto da vicino gli effetti e le conseguenze del virus, dovendo anche affrontare una quarantena al W Hotel di Abu Dhabi.
Una testimonianza importante, un racconto che inizia da fine febbraio, quando è scoppiato il caos all’UAE Tour dopo l'irruzione del Covid-19.
«Ci trovavamo in hotel, quando è arrivata la notizia dei primi contagi che hanno scosso la carovana e sancito la fine della corsa - esordisce il dirigente ticinese - Tutte le squadre e il seguito del Giro, compresi i media, sono stati subito sottoposti ai tamponi sanitari. Era un giovedì e siamo stati messi in quarantena in attesa dei risultati. Due giorni dopo li abbiamo ricevuti e, per tutti, l’esito era negativo. A quel punto avremmo potuto decidere di tornare a casa, anche per lasciare un possibile epicentro di contagio».
Mauro Gianetti, intuendo il pericolo, ha però agito con lucidità.
«A fine febbraio non eravamo ancora in questa situazione, dove tutti sanno con esattezza i rischi e le tempistiche legate al coronavirus. Ho riflettuto e, pensando al periodo d’incubazione, non me la sono sentita di optare per un ritorno a casa. Ho preferito che tutto il team aspettasse l’esito di un secondo tampone».
Una scelta saggia…
«Due giorni dopo in 8 erano positivi: Gaviria, Richeze e 6 membri dello staff. Quasi tutti asintomatici. Immaginiamoci cosa sarebbe potuto accadere se fossimo rientrati a casa. Tutti avremmo continuato le nostre vite in maniera normalissima, con il rischio di contagiare i nostri cari e altre persone. Si può dire che con prudenza e prevenzione è stato evitato un disastro. In un primo momento, quando dissi che non tornavamo a casa per non prenderci dei rischi, non tutti però avevano capito la gravità della situazione. C’è chi mi diceva: “Ma no… c’è la Tirreno-Adriatico, un nostro obiettivo”. In fondo è normale perché non c’era ancora stato un clic. Poi però è saltato tutto. Oggi, riparlandone, mi dicono “Grazie Mauro, per fortuna siamo rimasti. Avremmo creato un danno alle nostre famiglie”».
Raccontaci della quarantena. Com’è stato l’isolamento in hotel?
«C’era incertezza e c’è stata paura, ma è uscito anche un grande spirito di squadra. Nei vari gruppi in Whatsapp ci tenevamo in contatto e sostenevamo chi stava male, come chi è stato portato in ospedale. Si può dire che abbiamo condiviso situazioni uniche. Su tutte la storia di Diego Ulissi, con sua moglie che proprio in quei giorni doveva partorire e ha avuto una bambina. Per lui è stata durissima non poter tornare ad assisterla. Lo si vedeva anche dagli sguardi. Ci parlavamo dai balconi dell’hotel e cercavamo di tenerlo su di morale. In quei giorni siamo diventati tutti zii della piccola Anna. È stato difficile, ma siamo riusciti anche a condividere una gioia, un segno di speranza».
Dopo due settimane buona parte del team è potuto rientrare, ma purtroppo c’è anche chi si trova ancora negli Emirati.
«Gaviria, il mio braccio destro Andrea Agostini e un meccanico sono ancora là. Finché due tamponi non risultavano negativi a 24 ore di distanza, non potevano lasciare l’ospedale. Ora sono guariti, ma i voli nel frattempo sono stati sospesi. Devono attendere un aereo per poter tornare a casa».
Gianetti invece è rientrato in Ticino a metà marzo, con il nostro Cantone che aveva appena chiuso i battenti.
«L’abbiamo imparato sulla nostra pelle e ormai è chiarissimo, il virus va contrastato con misure forti. Disinfettanti, mascherine e distanze sociali: le basi insomma. Ora, anche per tutti gli sportivi, non c’è il timore di perdere la condizione fisica, ma quello di perdere qualcuno dei propri cari. Questa crisi epidemica è una sfida per tutti. Con disciplina ne usciremo».