Cuore gonfio di tristezza e occhi carichi di lacrime
Una "tragica fatalità" alla quale i campioni delle due ruote sono preparati.
SCARPERIA E SAN PIERO - La tragedia si è consumata dietro una curva del circuito del Mugello. È lì che Jason Dupasquier ha perso la vita.
Dopo un ottimo avvio di stagione, dopo cinque gare sempre “a punti”, in Italia Dupasquier cercava la definitiva consacrazione. Ha invece trovato la morte. Il 19enne friborghese sperava di potersi confermare come una delle sorprese della Moto3, come il futuro che avanza; per riuscirci, sul tortuoso circuito toscano è quindi andato al massimo, anche di più. Tanta voglia lo ha però tradito, facendolo finire sull’asfalto tra la curva 9 e la curva 10.
Tragica fatalità
Cadute del genere succedono a centinaia ogni weekend su tutte le piste del mondo. Si scivola, ci si rialza, ci si rammarica. L’ordine è (quasi) sempre lo stesso. In questo caso però il fato è stato drammaticamente duro con il pilota rossocrociato, che in una carambola è stato prima travolto dalla sua moto e in seguito colpito da quelle del giapponese Sasaki e dello spagnolo Alcoba.
La macchina dei soccorsi
La corsa dei soccorsi, i lunghi minuti sull’asfalto, il trasporto in elicottero all’ospedale Careggi di Firenze e le primissime, pessime, notizie fatte filtrare dai dottori: come già capitato in occasione di altri drammi, in un contesto del genere la competizione è passata in secondo piano e la curiosità si è trasformata in triste speranza. In speranza che quel giovane frizzante, fresco e ambizioso riuscisse a vincere la gara più importante della sua vita. Questo contemporaneamente alle facce scure dei medici che lo avevano preso in cura i quali, dopo una TAC completa, parlavano di traumi importanti a cranio addome e torace.
La corsa al capezzale
A quel punto la situazione si è fatta più “intima”, come la sofferenza. Papà Philippe - leggenda del motocross nazionale e internazionale - e mamma Andrea si sono subito messi in viaggio per tentare di raggiungere il figlio, per provare, con la loro vicinanza, a dargli un piccolo conforto. All’ospedale di Firenze si è precipitato pure Tom Lüthi, contemporanemente l’idolo e il mentore del giovane friborghese. Tutto l’amore dei cari, distrutti anche se consci dei rischi che ogni settimana affrontava, non ha tuttavia favorito quel miracolo che sarebbe servito a Dupasquier Jr. per farcela.
La fine delle speranze
“Le prime ore sono decisive”, si ripete spessissimo in casi come questo. E le prime ore sono state tremende per lo svizzero il quale, in condizioni ormai critiche, è stato operato d’urgenza nella notte tra sabato e domenica: intervento al torace per cercare di rendere stabile la situazione. Tutto inutile. Nella mattinata di ieri il fisico di Jason ha infatti del tutto ceduto, costringendo i dottori della struttura toscana ad arrendersi definitivamente.
L'inchino dei “colleghi”
Le due ruote nel dna e il titolo mondiale nella MotoGP come sogno. Le gare, la velocità, l’adrenalina erano tutto per Jason il quale, vestita la tuta, infilato il casco e salito in sella, diventava un lottatore. E ha lottato, il 19enne. Per “uscire” dal garage di papà, per guadagnare la stima di Tom Lüthi e per conquistarsi un posto nel circus. Ha lottato per imporsi e ha lottato - inutilmente purtroppo - anche quando i macchinari che aveva attorno non servivano per far andar più forte la sua moto bensì per far rispondere il suo corpo. Attorno al suo dramma i piloti hanno continuato correre. “Insensibilità”, ha detto qualcuno. “Voglia di onorare il ricordo di uno di noi”, hanno risposto i vari Rossi, Marquez e Miller, consci del fatto che lui, Jason, avrebbe fatto lo stesso, pur con il cuore gonfio di tristezza e gli occhi carichi di lacrime.