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SVIZZERATrent'anni fa lo scandalo delle schedature

18.11.19 - 10:49
Oltre 320'000 persone (4410 in Ticino) chiesero a Berna se figurassero tra gli schedati. Circa 40'000 (804 in Ticino) ottennero risposta affermativa
TiPress - foto d'archivio
Trent'anni fa lo scandalo delle schedature
Oltre 320'000 persone (4410 in Ticino) chiesero a Berna se figurassero tra gli schedati. Circa 40'000 (804 in Ticino) ottennero risposta affermativa

BERNA - Lo scandalo delle schedature, scoppiato il 22 novembre 1989, portò alla scoperta di 900'000 dossier riguardanti cittadini e organizzazioni redatti dalla polizia politica e dal controspionaggio senza alcuna base legale. Trent'anni dopo, le attività di sorveglianza della Confederazione sono ancora regolate da una moltitudine di disposizioni speciali e manca una legge apposita, denuncia l'Incaricato federale alla protezione dei dati.

Le schedature vennero alla luce grazie alla pubblicazione del rapporto della Commissione parlamentare d'inchiesta (CPI) che aveva il compito di indagare sui fatti che portarono alle dimissioni dell'allora "ministra" della giustizia Elisabeth Kopp. Il 27 ottobre 1988, la consigliera federale telefonò al marito, l'avvocato Hans Werner Kopp, pregandolo di dimettersi dal consiglio d'amministrazione della società Shakarchi Trading SA, sospettata di riciclaggio. La CPI sul "caso Kopp" aveva mandato di indagare anche sulla condotta del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP), del Ministero pubblico della Confederazione e della Polizia federale.

«Se avesse aspettato di essere a casa la sera, non sapremmo ancora nulla delle schede», ha detto l'attivista per i diritti umani Catherine Weber in una recente intervista alla Wochenzeitung. Segretaria del comitato «contro lo Stato ficcanaso», Weber era in prima linea quando scoppiò lo scandalo. Secondo l'attivista, le schedature furono scoperte nel corso di una riunione della CPI nei locali della Polizia federale. «Per caso, durante una pausa, i parlamentari iniziarono ad aprire gli armadi e scoprirono una vasta collezione di schede in ordine alfabetico».

Oltre 320'000 persone (4410 in Ticino) chiesero a Berna se figurassero tra gli schedati e l'eventuale diritto di consultazione. Circa 40'000 (804 in Ticino) ottennero risposta affermativa. I servizi del neonominato "Mister schede" Walter Gut inviarono loro 300'000 pagine di schede con 2 milioni di annotazioni, in parte oscurate. Le schede trovate risultarono essere 820'000, con rimandi a 17'750 fascicoli, che allineati avrebbero raggiunto una lunghezza di 1,3 chilometri, riguardanti 142'000 svizzeri, 586'000 stranieri e 26'000 organizzazioni.

Persino Moritz Leuenberger, presidente della CPI e futuro consigliere federale, era stato assiduamente sorvegliato dal 1972 al 1980 ed era stato incluso in uno speciale «schedario degli estremisti». All'attenzione della polizia politica non sfuggì neppure Charlie Chaplin, il popolare Charlot, stabilitosi in Svizzera nel 1953 per sfuggire alla persecuzione della polizia federale statunitense FBI.

Dall'esame dei documenti inviati ai richiedenti, a volte pubblicati dalla stampa, risultò che i metodi della polizia politica svizzera erano simili a quelli di Stati autoritari, con in più una buona dose di dilettantismo. Una impressione confermata dal rapporto "La protezione politica dello Stato in Svizzera (1935-1990)" pubblicato l'11 giugno 1993 dal gruppo di esperti diretto dallo storico Georg Kreis.

Lo scandalo delle schede coincise con la fine della Guerra fredda. «All'epoca, gli Stati utilizzavano notevoli risorse per ottenere informazioni», ha spiegato Adrian Lobsiger, Incaricato federale per la protezione dei dati, all'agenzia Keystone-ATS. I Paesi occidentali hanno iniziato a modernizzare il sistema di acquisizione delle informazioni relative alla sicurezza a seguito degli attentati dell'11 settembre 2001 contro le Torri gemelle a New York e contro il Pentagono. Con la digitalizzazione, la quantità e la qualità dei dati scritti, audio e visivi, così come la potenza di calcolo per l'analisi e il confronto, sono aumentate in modo esponenziale. «Inoltre, disponiamo di dati biometrici e genetici e di un enorme flusso di metadati generati dall'uso degli smartphone», sottolinea Lobsiger.

La Confederazione gestisce attualmente un gran numero di sistemi contenenti informazioni personali sensibili. «I sistemi, che sono accessibili solo da servizi di sicurezza federali come l'Ufficio federale di polizia, il Corpo delle guardie di confine o il Servizio delle attività informative della Confederazione, si basano su così tante disposizioni legali speciali che è difficile avere una visione d'insieme, anche per gli avvocati specializzati», conclude Lobsiger.

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