Dalle politiche del Governo alla mascherina (prima non obbligatoria, poi sì), ce lo spiega il sociologo Sandro Cattacin
LUGANO/GINEVRA - La vita di tutti è stata stravolta, in misura diversa, dal coronavirus. Molte abitudini hanno dovuto cambiare e nella vita di tutti i giorni si sono fatti spazio nuovi comportamenti, come la distanza fra le persone e l'indossare la mascherina. Ma da cosa dipende la percezione che abbiamo di questo nemico invisibile? Ne abbiamo parlato su Piazza Ticino con il Sociologo Sandro Cattacin, professore all'Università di Ginevra.
Le persone come hanno risposto alle varie disposizioni emanate dal Governo?
«A inizio pandemia c'era una strategia di comunicazione che era molto chiara e coerente ma trasmetterla e farla capire alla popolazione è molto più complicato. Alcune decisioni sono state viste come incoerenti. Un esempio è quello della mascherina: all'inizio si diceva che non bisognava portarla, poi d'un tratto è diventata necessaria. La logica però era chiara, servivano negli ospedali e con il lockdown si usciva poco di casa e quindi non erano così fondamentali».
Imporre la mascherina la fa sembrare più utile?
«Probabilmente c'è questo fatto ma vediamo tutti i giorni la contraddizione legata alla mascherina portata da certi e da altri no, in certi posti obbligatoria e in altri no. Questo rende molto difficile far passare il messaggio “siate responsabili portate la mascherina”. Da lì ovviamente la necessità di metterla obbligatoria per far sì che chi non vuol portarla la indossi lo stesso».
Secondo lei è necessaria?
«Per esempio a GInevra permetterà di iniziare i corsi all'università con le sale piene di studenti. Se magari non serve a niente in un corso, magari in un altro c'è un giovane che non sa di avere una malattia e che una volta contagiato potrebbe avere delle ripercussioni gravi. Dobbiamo pensare che siamo ancora in una logica non di difesa della popolazione ma di difesa della popolazione fragile che ha delle malattie croniche, conosciute e non».
Il fatto che gli altri la indossino influisce sul comportamento personale?
«Sì certo, ma non si sa bene in quale direzione. Si può avere il caso in cui la persona si arrabbi con quelli che la portano perché non crede nella sua utilità, oppure quella che dice "c'è davvero un pericolo, dunque la devo indossare anch'io". Sono reazioni non prevedibili».
Com'è cambiata la fiducia nel Governo in questi mesi?
«I primi sondaggi hanno dimostrato che è diminuita, però rimaniamo a dei livelli molto alti rispetto ad altri Paesi. In Svizzera generalmente c'è molta fiducia nel Governo e adesso stiamo tornando a dei dati normali. In altri Paesi le persone hanno perso la fiducia in tutto e in tutti e questo è la morte della società e anche dell'economia».
Gli altri Paesi come hanno influito sulla percezione delle persone riguardo al Covid?
«Nel caso della Svizzera italiana e della Svizzera francese i Paesi confinanti hanno giocato un grande ruolo, perché sono stati toccati prima della Svizzera. Nonostante si trattasse di "estero" erano comunque molto vicini e la tendenza è stata quella di percepire la pandemia prima della Svizzera tedesca che inizialmente era confrontata con i dati della Germania che erano abbastanza tranquillizzanti. Riguardo alle notizie internazionali è possibile rendersi conto che la Svizzera ha fatto un buon lavoro in confronto a paesi come il Brasile o gli USA dove la situazione è fuori controllo».
I media che ruolo hanno in tutto ciò?
«I media digitali erano estremamente attivi durante questo periodo e si è vista non solo la loro importanza, ma anche il rischio che c'è dietro a un tipo di informazione necessaria ma che può essere manipolata velocemente. Ciò è successo sui social media relativamente presto. Ma se si controlla da dove arrivano queste disinformazioni ci rendiamo conto che sono le solite fonti che le producono o le condividono».
Riguardo alla situazione scaturita dalla pandemia, lei e altri suoi colleghi avete scritto un libro...
«È più vicino a un instant book che a una ricerca scientifica sistematica, anche se all'interno ci sono già dati raccolti durante la pandemia. È il frutto del lavoro di 27 ricercatori che con entusiasmo hanno spiegato cosa stesse succedendo nel loro settore di competenza. Vengono trattati tutti grandi temi, tra cui la famiglia, i giovani e gli anziani».