Benedetto Antonini della STAN commenta il parziale "mea culpa" del celebre architetto
E aggiunge: «Ma il gigantismo e il fuori scala toccano anche altre architetture ticinesi come il Campus dell'USI o il progetto per l'area delle ex Officine». Le cause: «La golosità degli investitori e il fatto che i grossi costruttori non rischiano del proprio»
LUGANO - «Ora non ho problemi a dire che è fuori scala. Confesso che mi fa male, quando lo vedo da Lugano». Con gli occhiali di oggi, e 13 anni dopo averla concepita, anche l’architetto Mario Botta giudica assai negativamente la propria creatura, la Casa da gioco a Campione. Anche a lui, il tempio dell’azzardo fallito oggi provoca le vertigini. «Il mio Casinò è una bruttura» è il significativo titolo con cui il Corriere della Sera ha evidenziato l’autodafè di Botta (originariamente apparso sulla rivista bernese Reportagen).
Solo colpa dei committenti? - Meglio tardi che mai direbbe qualcuno. Altri, invece, come l’architetto Benedetto Antonini, vicepresidente della Società ticinese per l’Arte e la Natura, ritengono assai tardivo questo “mea culpa”. Mea culpa, peraltro parziale visto che Botta punta la penna contro i committenti campionesi: «A ogni amministrazione aumentava la cubatura, non era mai grande abbastanza. Megalomani, litigiosi e rapaci» li definisce oggi il celebre architetto.
La mancata rinuncia - «Trovo che quello di Botta sia un gioco un po’ facile - commenta Benedetto Antonini -. Dimentica infatti che un architetto ha delle norme deontologiche alle quali deve sottostare. Perché semplicemente non rinunciò a quel mandato? Se gli avessero chiesto di farlo grande il doppio si sarebbe piegato?» si chiede il vicepresidente della Stan, rimandando al codice deontologico dell’Ordine degli ingegneri e architetti del Canton Ticino.
Le critiche al Campus - «Se il committente vuole realizzare un edificio che sconvolge la struttura di un villaggio, l’architetto dovrebbe rifiutarsi» sottolinea Antonini. Va anche detto che il “fuori scala”, il “gigantismo” pur pacchianamente esibito a Campione, non è un male circoscritto all’enclave italiano. «Non tocca infatti solo Botta - continua il nostro interlocutore -. Anche il nuovo Campus dell’USI in via la Santa a Viganello è naturalmente fuori scala». Preoccupa che il “club dell’ostentazione” continui a ingrossarsi: «Oggi vige il gigantismo. Il progetto per l’area delle ex Officine di Bellinzona è pure fuori scala. Idem il Nuovo Quartiere di Cornaredo (NQC) a Lugano che non risponde nemmeno a una domanda di mercato».
Le colpe del gigantismo - Ancor più del calo demografico ticinese, altri fattori invitano infatti a contenere le colate di cemento: «L’informatizzazione e soprattutto il telelavoro nel terziario stanno portando a una drastica riduzione degli uffici. Le stesse due torri previste allo stadio di Cornaredo non rispecchiano un bisogno». Volendo individuare delle cause, Antonini dà questa lettura: «Il gigantismo è legato alla golosità degli investitori, con l’aggravante che i più grossi costruttori di immobili oggi non rischiano del proprio. Lo sfitto non è un problema loro». Semmai è un problema nostro e di un Ticino paesaggisticamente sempre più saccheggiato.