La testimonianza di Angelo e Marina, comproprietari di un ristorante da agosto, chiusi senza ricevere un soldo.
Sono tra i 6'000 svizzeri dimenticati dai casi di rigore. «Le spese fisse continuano a esserci e solo con l'asporto non è possibile far fronte a tutti gli impegni finanziari. E intanto i risparmi di una vita sono andati in fumo».
CAMORINO - Sono circa 6'000 in tutta la Svizzera. Sono i "dimenticati" dai casi di rigore. Sono coloro che hanno aperto un'attività dopo l'inizio di marzo 2020. Per poi venire frenati dalla pandemia e affossati dalle restrizioni. Dalla Confederazione queste persone non riceveranno un franco, poiché i bilanci degli anni precedenti, ovviamente, non esistono. Una situazione, questa, in cui si trovano anche numerosi imprenditori, esercenti e commercianti della Svizzera Italiana. La loro disperazione è palpabile. La testimonianza di alcuni di loro straziante.
Il sogno trasformato in incubo - Come quella proveniente da Camorino e più precisamente da Angelo e Marina, che ad agosto, fiduciosi che il peggio fosse ormai alle spalle, hanno firmato il contratto per prendere la gerenza del ristorante "Centrale". «Avere un locale è stato sempre quello che desideravo. E finalmente dopo tanta attesa quel momento è arrivato», ci confida Angelo, comproprietario e cuoco. Un sogno che però, tempo due mesi, si è trasformato in un incubo. Prima - era il 12 dicembre - le autorità impongono la chiusura anticipata di tutti i locali alle 19.00. Poi, dieci giorni dopo, arriva la mazzata definitiva: bar e ristoranti dovranno abbassare le serrande almeno fino al 28 febbraio.
«Situazione critica» - Per i due giovani comproprietari - 40 anni lui, 34 lei - inizia un periodo difficilissimo dal punto di vista finanziario. «Non avendo diritto a nessun aiuto la situazione è davvero critica. I risparmi di una vita sono andati in fumo», ci rivela con amarezza Marina che del Centrale è pure la gerente. «Le spese fisse continuano a esserci e solo con l'asporto non è possibile far fronte a tutti gli impegni finanziari. E questo nonostante i proprietari dello stabile, per quanto possibile e benché non fossero obbligati a farlo, ci sono venuti incontro con una riduzione dell'affitto», precisa la giovane.
Infine arriva l'appello rivolto alle autorità: «Anche noi che abbiamo aperto da poco abbiamo bisogno di aiuti. Senza non sopravviveremo ancora a lungo. Aiutateci o fateci riaprire. Ne va del nostro futuro e di quello di numerosi altri settori».
La lotta dell'Usam - Qualcosa, a ogni modo, potrebbe presto smuoversi anche in questo ambito. Con in particolar modo l'Unione svizzera delle arti e mestieri, che sta lottando in prima linea per far cambiare opinione alla Confederazione. Secondo il presidente dell'Usam, Fabio Regazzi, infatti, la stragrande maggioranza di chi ha aperto dopo marzo - e che quindi non può per ora accedere agli aiuti - lo ha fatto in buona fede e non per sfruttare il sistema. «In questo modo Berna esclude troppa gente», ha precisato Regazzi in un'intervista a Tio.ch / 20 minuti. «Ci saranno forse casi singoli in cui qualcuno ha aperto sapendo che gli affari non sarebbero andati bene e sperando in un sostegno pubblico. Ma in generale abbiamo a che fare con persone oneste. E che sfortunatamente hanno deciso di aprire in un periodo imprevedibile». Proprio come Angelo e Marina.