Le iniziative popolari su pesticidi e acque preoccupano il settore vitivinicolo ticinese
Il direttore di Ticinowine Andrea Conconi: «Non si tratta di pesticidi. Ma senza prodotti sistemici assisteremmo all'abbandono dei piccoli viticoltori». L'esempio di chi invece ha imboccato da decenni la strada del bio, Myra Zündel: «C'è tanto lavoro di prevenzione, ma si può avere successo»
LUGANO - «Se ho una vigna di merlot e non voglio più usare prodotti chimici, strappo il merlot e metto altre varietà». Il dibattito avviato dall’iniziativa popolare “Per una Svizzera senza pesticidi sintetici” tocca da vicino anche la viticoltura e, su laRegione, Renzo Cattori, pioniere del “bio” in Ticino, punta decisamente su altri vitigni più resistenti alla malattia, le cosiddette varietà interspecifiche.
Un consumo di qualità, ma in calo - Con la sua soluzione Cattori la fa un po’ troppo semplice, obietta Andrea Conconi, direttore dell’Interprofessione della vite e del vino ticinese (IVVT). Il suo ragionamento parte dal tipo di vino che il mercato assorbe: «Le ultime statistiche, quelle del 2020 influenzate dalla pandemia, indicano un calo del 6% sul consumo di vino. Perché si tratta pur sempre di una bevanda conviviale penalizzata dalla chiusura dei ristoranti e dalle restrizioni di incontri nel privato. Nel vino si cerca la qualità e non lo stordimento».
«Non sono pesticidi» - Da qui anche, continua Conconi, «la necessità per il viticoltore di trattare la vigna, non perché vuole ma deve, per evitare determinate malattie e garantire la qualità. Non si tratta di pesticidi, come sostengono i favorevoli all’iniziativa, ma sono dei prodotti fitofarmaci o fitosanitari». L’alternanza di caldo e umido, tipica del clima sud-alpino, favorisce il proliferare di malattie come la peronospora e l’oidio: «Grazie alle estati calde si riesce ultimamente ad evitare i trattamenti contro il marciume» sottolinea l'esperto.
Vitigni resistenti, ma la qualità… - «Negli ultimi dieci anni l’utilizzo in agricoltura di prodotti fitosanitari ed erbicidi è sceso del 40-45%. La ricerca sui cosiddetti vitigni resistenti ne ha individuati alcuni molto interessanti tra i bianchi, come il Johanniter o il Solaris, mescolati con il merlot o in purezza. Mentre nei rossi non ci siamo. Se cerco il piacere in un bicchiere di vino, nei vitigni interspecifici rossi non c’è ancora nulla che mi soddisfi. I risultati sono deludenti» dice Conconi.
Un 2% di vignato biologico - L’Interprofessione non darà indicazioni di voto univoche sull’iniziativa per bandire i fitofarmaci. «Anche se al suo interno la maggioranza è contraria per le difficoltà che ne scaturiranno, la parola viene lasciata ai soci Federviti che sono sul terreno. Al nostro interno ci sono inoltre alcuni soci che producono in maniera biologica o biodinamica. Ma rappresentano il 2% della superficie vitata in Ticino». La posizione personale di Andrea Conconi invece è chiara: «Sono contrario alle due iniziative, ma soprattutto a quella delle acque che eliminerebbe anche i prodotti di contatto come il rame e lo zolfo. Significherebbe uccidere anche la viticoltura biologica».
Piccoli in difficoltà - Preoccupa il settore anche la tempistica per l’abbandono dei prodotti sistemici: «Il testo di legge specifica da subito. Ciò che provocherebbe grandissime difficoltà e anche l’abbandono da parte dei piccoli viticoltori. Ne abbiamo 2700 che lavorano la vigna nei weekend, senza poter utilizzare, in maniera corretta, i prodotti sistemici avrebbero enormi difficoltà di raccolto». I residui di sostanze ancora presenti nelle acque, continua Conconi, «risalgono agli anni ‘70 e ‘80. Stiamo pagando gli errori fatti in quegli anni. Ma oggi si lavora bene». Chi obietta che il merlot contiene maggiori residui di altri rossi? «Tutti i nostri vini, malgrado l’abbassamento dei limiti, sono sempre risultati conformi alla legge. Chiaramente quanto un produttore utilizza le uve di 20-30 viticoltori la varietà dei prodotti usati aumenta. Ci sono però dei merlot a coltivazione tradizionale che contengono uno o al massimo due residui».
«Da quasi vent'anni vendemmiamo bio. Con successo»
BERIDE (CROGLIO) - «Il merlot senza prodotti di sintesi si può fare. Vendemmiamo tutti gli anni con successo e non siamo neanche più gli unici in Ticino». Coi piedi ben piantati nel vigneto Myra Zündel, 29 anni, ha assorbito dal padre, Christian, l’arte e la passione di lavorare la natura senza prodotti di sintesi. I quattro ettari di vigna, fiore all’occhiello della loro azienda nel Malcantone, lo testimoniano. «Era il 2003 quando mio papà, per filosofia di vita e rispetto verso l’ambiente e le persone, ha imboccato questa strada. Il cambio non è stato facile, perché allora non se ne parlava proprio».
La viticoltura senza “pesticidi”che sacrifici impone? «Ci vuole un po’ di conoscenza in più, tanto lavoro sull’equilibrio stesso delle piante affinché restino sane e riescano a difendersi da sole. Lavoriamo molto su quello». Un obiettivo che si può raggiungere tenendo conto di moltissime componenti: «C’è uno studio immenso alle spalle per capire cosa è la vigna, di quale potatura ha bisogno per stare meglio, di quali piante attorno può trarre beneficio. Molti si soffermano solo sul trattamento che è una componente, senza prodotti di sintesi, dell’agricoltura biologica e biodinamica». Non è chiaramente tutto rose e fiori… «Non tutto è romantico, come sembra. Si è più esposti a ogni possibile problema. Se la pianta non è sana di suo si fa molta fatica . C’è tanto lavoro di prevenzione rinunciando non solo ai trattamenti più aggressivi, ma anche ai concimi sintetici, agli erbici, agli insetticidi. E si vede perché in vigna abbiamo una flora e una fauna che un vigneto convenzionale tende a non avere». Myra ha studiato anche agricoltura convenzionale: «Nelle scuole in Svizzera si parla purtroppo poco di bio. Ho appreso molto direttamente nel vigneto con mio padre». In sintesi, non nel senso dei prodotti, per fare bio cosa occorre: «La voglia e la disponibilità di prendersi dei rischi anche importanti. Soprattutto nella condizione climatica come la nostra».