Torna d'attualità il celibato obbligatorio tra i sacerdoti cattolici. Il teologo Alberto Bondolfi lo abolirebbe.
«Ma – ammette – il Papa non lo può togliere dall'oggi al domani. Ne andrebbe della credibilità della Chiesa. Perché chi è in preda agli impulsi non molla prima? Forse teme di restare a piedi».
LUGANO - Clero di nuovo nella bufera. Con un sacerdote 40enne ticinese recentemente finito in manette per guai finanziari. Sullo sfondo però ci sarebbero questioni affettive al vaglio degli inquirenti. Ed è un problema sempre più ricorrente. Le cronache internazionali ci parlano ad esempio della love story che ha costretto il vescovo di Parigi a mollare tutto. Che senso ha continuare cocciutamente a mantenere determinati dogmi? Il teologo Alberto Bondolfi è critico sul voto di castità: «Sarebbe da superare come condizione obbligatoria per l‘ordinazione. Ma, d'altra parte, non è possibile che il Papa si alzi una mattina e dica che il celibato obbligatorio non c'è più».
I sacerdoti cattolici sono troppo soli?
«Sì. I preti cattolici oggi sono sempre più isolati e non hanno nessuno con cui confrontarsi direttamente in caso di problemi. Già da tempo alcune autorità ecclesiastiche raccomandano ai preti di vivere almeno in gruppo. In modo da avere un minimo di vita sociale. In questo modo se uno dovesse incorrere in un errore, potrebbe essere corretto dall'altro».
Non stiamo andando verso questa via però.
«Questa forma di vita non sembra prendere piede. Anche a causa degli stessi preti. Sono stati educati alla solitudine e hanno difficoltà nel condividere la vita quotidiana con altre persone».
Oggi il prete non è più il punto di riferimento del villaggio. Quanto pesa questo fattore?
«Il criterio con cui i vescovi distribuivano i preti un tempo era la preoccupazione che ci fosse una liturgia adeguata in ogni angolo della Diocesi. È chiaro che oggi non è più ipotizzabile. Adesso l'attività del prete è molto variata. E non si limita alla parrocchia. Va dalla presenza negli ospedali ad altri compiti. C'è dunque una solitudine combinata a un'iperattività. Correndo a destra e a sinistra, la qualità del rapporto con la comunità è ancora più labile. Non c'è più il prete pastore. Ora c'è un prete disorientato».
Lei vive a Zurigo. Nella Svizzera tedesca le cose sono un po' diverse. O no?
«Prima di tutto si dà più spazio ai laici, uomini e donne. Il sacerdote non è dunque l'unico detentore di determinate mansioni. So che a sud delle Alpi però ci sono resistenze su questi eventuali cambiamenti. E poi c'è un problema finanziario. I collaboratori delle parrocchie andrebbero pagati».
Ma si dice sempre che la Chiesa sta bene...
«Sono leggende. Al di là di alcune parrocchie e di alcuni immobili della Curia, di soldi ne circolano pochi. Bisogna essere realisti».
Spesso l'affettività è alla base degli scandali che coinvolgono i preti.
«Prima il prete girava con l'abito talare. Ed era la persona più importante del paese. Era più sotto osservazione. Chi aveva delle relazioni o con una donna o con un uomo era tenuto a una clandestinità severissima. Adesso in pochi si interessano a cosa faccia il prete nel suo tempo libero. E quando cascano le barriere psicologiche, è più difficile mantenere lo stile di vita asessuale che dovrebbe contraddistinguerlo. Gli stimoli sessuali poi oggi sono ovunque. In televisione, su internet, sui telefonini...»
Alla gente interesserà poco di cosa fa il prete. Ma quando un prete sbaglia viene tritato da social e media...
«È vero. La gogna pubblica è decisamente più amplificata. E chi scivola fa decisamente più fatica a rialzarsi. Specialmente in un contesto di dimensioni relativamente ridotte come quello ticinese».
Perché quando un prete si accorge di avere determinati impulsi non smette di fare il sacerdote?
«Non è così facile. La formazione del prete è molto specifica. Uno si chiede mille volte: e poi che faccio? Il timore di restare a piedi è altissimo. Il Ticino poi non è attrezzato nel reinserimento di sacerdoti che abbandonano. Altre Diocesi svizzere cercano di trovare un'attività alternativa a chi lascia il ministero. Nella formazione per adulti, nell'amministrazione, nella cultura ad esempio. Dovrebbe essere una responsabilità morale della Diocesi occuparsi di questi casi. La motivazione c'è. Però mancano risorse e contatti probabilmente».
Torniamo al voto di castità. Davvero sarebbe possibile sradicare un pilastro del genere?
«Il mutamento non può avvenire da un giorno all'altro. Ne andrebbe della credibilità della Chiesa. E sappiamo tutti che la Chiesa cattolica ha una paura profonda di perdere credibilità. L'opinione pubblica si chiederebbe come mai finora fossero state emesse regole rigidissime per poi di colpo farle cadere».
Quindi?
«I grandi cambiamenti necessitano di tempi lunghi. Chi ne parla seriamente, propone di fatto l'ordinazione di persone già sposate. Avremmo un periodo di transizione in cui anche la conflittualità del cambio delle regole sarebbe più facile da metabolizzare».