Sotto le strutture EOC si trovano dei rifugi che possono accogliere centinaia di pazienti. Ecco come funzionano
Si tratta di spazi datati, che in parte risalgono agli anni Settanta. Esiste un progetto della Confederazione per un ammodernamento di quelli situati a Lugano
BELLINZONA - È da ormai oltre un mese che in Ucraina è scoppiata la guerra. Una guerra in cui la Russia non manca di minacciare un’escalation, parlando anche di armi nucleari. Tanto che in molti (in Svizzera una persona su due, secondo un nostro recente sondaggio) temono una guerra atomica. E nelle scorse settimane si è anche parlato delle condizioni dei rifugi presenti nel paese, che permetterebbero di accogliere praticamente tutta la popolazione.
In caso di una situazione di crisi, come se la caverebbero invece gli ospedali? Degenti e personale sanitario si sposterebbero sotto terra. In Ticino, le strutture sanitarie dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC) dispongono infatti di cosiddetti Ospedali protetti (OP). Dei veri e propri rifugi ospedalieri. Quello dell’Ospedale Civico di Lugano si sviluppa su tre piani sotterranei, come ci fa sapere Matteo Tessarollo, portavoce dell’EOC.
Strutture datate, ma «funzionanti» - Gli OP ticinesi sono stati completati negli anni Settanta (a Lugano), Ottanta (a Mendrisio) e nei primi anni Novanta (a Bellinzona e Locarno). Si tratta, insomma, di strutture datate, che tuttavia «sono funzionanti» e «se necessario possono essere attivate in quattro/cinque giorni» spiega ancora Tessarollo. Ognuna può ospitare più di duecento letti per pazienti, oltre a quelli per il personale sanitario.
Non tutti gli OP sono però uguali. Quello di Lugano è infatti «a statuto speciale», ci dice Ryan Pedevilla, capo della Sezione del militare e della protezione della popolazione. «Dispone di un numero supplementare di letti medicalizzati per casi di emergenza che esulano dal conflitto bellico». In tutta la Svizzera, le strutture a statuto speciale sono sette. E una di queste si trova, appunto, in Ticino.
A Berna si parla di strutture protette - Attorno agli OP ruotano poi quelli che sono definiti Centri sanitari protetti, ossia impianti della protezione civile delocalizzati sul territorio che possono fungere da “ambulatori” (tra questi si contano per esempio le note strutture di Camorino e al Vallone di Biasca). Ma ci si interroga se, in caso di necessità, valga davvero la pena decentralizzare le forze o se concentrarle piuttosto negli ospedali protetti. Un nodo, questo, che sarà sciolto a livello federale alla fine del 2023.
Proprio in questi giorni, a Berna si discute infatti un rapporto relativo al futuro delle strutture protette in Svizzera. Un incontro già fissato da tempo, che ora avviene soltanto per caso in concomitanza col conflitto in Ucraina. In seguito sarà definita, appunto, una strategia anche per le strutture sanitarie protette.
Un progetto di ammodernamento per Lugano - Come detto, gli OP sono datati. Ma funzionanti. Sono equipaggiati di dispositivi contro il blackout e di bombole di ossigeno medicalizzato. E vengono sottoposti a test periodici. «Proprio lo scorso mese a Lugano è stata effettuata un’esercitazione di messa in servizio, in cui è stata verificata la presenza di acqua ed elettricità, come pure la temperatura e l’umidità» ci dice ancora Pedevilla. Inoltre, proprio per la struttura situata sotto l’Ospedale Civico esiste un progetto della Confederazione per un ammodernamento. «Si farebbe un salto di qualità».
Non soltanto per la guerra - Ora si parla di rifugi pensando alla guerra. Ma gli Ospedali protetti possono essere attivati anche in altre (possibili) situazioni d’emergenza. Nel 2016 quello di Mendrisio era stato per esempio predisposto quale spazio per migranti provenienti dal Nord Africa, in caso si fosse manifestata una malattia particolarmente contagiosa.
E sempre sul fronte delle malattie, durante la prima ondata Covid, nel 2020, erano stati preparati i letti di tutti gli ospedali protetti. «Le strutture erano state pulite e allestite dalla protezione civile, non si sapeva a cosa si andava incontro e l’obiettivo era di garantire posti letto» conclude Pedevilla, ricordando che fortunatamente non è però stato necessario ricorrere agli ospedali sotterranei.