Ronchi periferici sempre più abbandonati. Burocrazia e costi alle stelle mettono a rischio una grande tradizione.
BELLINZONA - Vigneti di collina in grave difficoltà nella Svizzera italiana. Una recente mozione del granconsigliere Aron Piezzi riporta il tema d'attualità. I ronchi vengono abbandonati. E un pezzo di cultura rurale rischia di finire per sempre nel dimenticatoio. Mirto Ferretti, presidente della sezione Bellinzonese di Federviti è preoccupato. «Bellinzonese e Moesano, Locarnese e Luganese hanno il 60% della viticoltura in collina. E da anni constatiamo un abbandono delle coltivazioni collinari. Le nostre tradizioni sono in pericolo».
«Lavorare sui ronchi costa di più» – Alla base di questa tendenza, diversi fattori. Ferretti non si nasconde. «C'è tanta burocrazia da smaltire, anche per chi lavora la vigna come semplice hobby. E poi l'impegno è grosso. Per molti c'è da fare un corso su come usare i trattamenti fitosanitari. I costi della manutenzione aumentano, mentre il tempo a disposizione scarseggia. Lavorare sui ronchi è faticoso e costa nettamente di più rispetto alla pianura».
«Patrimonio paesaggistico» – Molti proprietari di vigneti situati in zone discoste si trovano confrontati con l'impossibilità di trovare un subentrante che curi la vigna. Giuliano Maddalena, presidente di Federviti Ticino, ammette: «La passione non basta più. Pochi vogliono lavorare per la gloria ormai». La mozione di Piezzi, come altre in precedenza, vorrebbe garantire un sostegno pubblico a chi mantiene in vita questi ronchi. «Rappresentano un patrimonio paesaggistico», ricorda Maddalena.
Il fattore economico – «La realtà – sostiene Sem Genini, segretario dell'Unione contadini ticinesi – è che gli hobbysti sono sempre di meno. Si sta assistendo a un processo di professionalizzazione. E chi vuole fare della vite il proprio mestiere, opta spesso per la comodità e dunque per i vigneti situati in pianura, meccanizzabili, facilmente raggiungibili e lavorabili con un trattorino. Lì i costi di produzione sono più contenuti. I costi in generale sono in continua crescita a causa della situazione mondiale attuale. Devono essere almeno coperti, altrimenti non ha alcun senso. Un viticoltore ha spesso a che fare con le bizze meteorologiche o con la gestione degli animali selvatici che creano grossi danni. Di certo sono problemi aggiuntivi che non facilitano il compito al settore».
«Serve più flessibilità» – Il prezzo da pagare diventa così l'abbandono di determinate zone. «Anche se forse – precisa Ferretti – con un po' più di flessibilità, si potrebbe evitare questa emorragia». Le regole, dettate in particolare dalla Confederazione, impongono ad esempio che la vite sia distante almeno 10 metri dai boschi e almeno 6 dai corsi d'acqua. «Ma quando si è in collina, queste cose non sono proprio così "perfette". È normale. Adesso la questione si è fatta urgente. Perché in diversi stanno cessando l'attività e non si trovano nuove leve. Se questi ronchi sono così importanti, allora sosteniamoli. Da decenni i piccoli viticoltori non ricevono alcun aiuto».
«Protezione dai disastri della natura» – Ferretti chiude con un'ulteriore riflessione. «I terrazzi in cui si coltiva la vite sono fondamentali per la protezione della collina dal rischio di dissesto idrogeologico. Un aspetto non da poco viste le minacce dei cambiamenti climatici. Forse deve succedere qualcosa di grave per accorgersi dell’importanza dell’agricoltura, anche di quella meno produttiva situata sulle nostre colline...»