L'ha realizzato l'artista zurighese Ana Hofmann
LAVERTEZZO - Lo svuotamento della diga della Verzasca era il pezzo mancante del puzzle. Sul fondo del lago temporaneamente prosciugato, l'artista zurighese Ana Hofmann ha scoperto un luogo da tempo cercato e vi ha girato un film d'arte.
Spoglio, arido, senza vita: ecco come potrebbe apparire un giorno il nostro pianeta. Hofmann ha trovato la sua idea di mondo post-apocalittico nel paesaggio che è emerso quando la diga della Valle Verzasca è stata svuotata nel dicembre 2021 per la prima volta da quando è stata costruita circa 60 anni fa. Ha capito subito che questa sarebbe diventata l'ambientazione di "Hyper Zone", il suo film d'arte sui temi dei nuovi inizi, della trasformazione e, indirettamente, del cambiamento climatico.
L'idea - Nell'opera, della durata di circa 25 minuti (curata da Oliver Rico), la cui idea è nata molto prima che venisse scoperta l'ambientazione perfetta, l'artista e fotografa freelance mostra come le persone preservate si risveglino in un mondo post-apocalittico. L'acqua scarseggia, gli alberi si sono seccati, il terreno è pieno di polvere e non ci sono più insetti. Tuttavia, i personaggi trovano speranza cercando nuove forme di vita e identità.
Gli uomini si trasformano in altri uomini, le donne in donne, gli uomini in donne e viceversa. Tutto è in trasformazione, i costumi, il paesaggio - anche il suono cambia «da un complesso mosaico sonoro a qualcosa di minimalista, legnoso, terroso», afferma Hofmann in un'intervista a Keystone-ATS.
Il suono è un elemento centrale del film, e allo stesso tempo uno dei più affascinanti. Non è stato registrato con un microfono bensì generato digitalmente. «Ero molto attratta da questo suono altamente costruito. E anche la talvolta lieve asincronia del suono, grazie alla quale può essere percepito come una dimensione separata dall'immagine».
Il dovere dell'arte - "Hyper Zone" è un ibrido fra estetica cinematografica professionale, narrativa molto sperimentale e una forma completamente a sé stante, che non può essere collocata in alcun genere. «Mi piace quando un'opera d'arte riesce a sedurre», dice. «E spero che il film si rivolga a un pubblico il più eterogeneo possibile».
Hofmann non vuole fare arte inaccessibile. Ma nonostante tutto, deve esserci qualcosa di concettuale dietro, qualcosa che faccia riflettere il pubblico. Ritiene importante che l'arte possa essere anche politica o che l'artista abbia un atteggiamento, una visione e quindi induca un discorso.
Da questo punto di vista infatti "Hyper Zone" tratta di temi ecologici ma anche sociali. Hofmann, prima degli studi d'arte, oltre a cinema ha studiato sociologia e scienze politiche.
Il film solleva la questione del ripensamento e affronta la necessità di un cambiamento fondamentale nei metodi di coltivazione e nello stile di vita in un mondo dominato da caldo, siccità e scarsità d'acqua. Vedere le persone nel contesto del peggioramento del cambiamento climatico in questo paesaggio distopico fa riflettere.
L'importanza della speranza - Tuttavia «non volevo fare un film con un finale negativo», dice. La speranza è una componente molto importante del progetto. Lo si vede soprattutto nelle piante che verso la fine spuntano fresche e piene di linfa dalla terra secca, o nell'ape che si posa sulla mano di uno dei protagonisti.
Ma la fiducia si basa anche sulla curiosità dell'artista per le «altre intelligenze» o, in altre parole, sulla convinzione che esistano e che possiamo imparare da loro. Hofmann sogna che «le persone si vedono più in sintonia con altri organismi e non-organismi» come funghi, piante e minerali. Questo è anche il suo approccio come artista: considerarsi più una collaboratrice che una singola interprete.
Alla fine, la scoperta del paesaggio della diga svuotata, sommerso per decenni, è stata emblematica di questa speranza. I castagni che la troupe ha trovato lì erano ricoperti di argilla - «io li chiamo mummificati» - spiega Hofmann. Sotto lo strato di terra, tuttavia, gli alberi si sono rivelati "nella loro piena luminosità".