Sergio Bordoli, classe 1948, racconta un po' della sua vita di sfrodo.
SALA COMACINA - «Quella vita lì non era mica facile, ma d'altronde a lavorare nei cantieri nautici ci davano 70/80 mila lire al mese. A fare lo spallone invece con un solo viaggio ti portavi a casa 10-12 mila lire. E per una famiglia numerosa come la nostra che non se la passava bene, quella paga lì erano bei soldi».
Il "Cimino", la celebrità degli spalloni - Chi parla è uno spallone, mica uno qualsiasi. A lui, che nel suo campo è sempre stato considerato quasi una celebrità, hanno dedicato libri, canzoni e addirittura anche una statua.
Sergio Bordoli, classe 1948, detto il "Cimino", quelle montagne verso le quali ogni tanto butta lo sguardo le conosce come le sue tasche. Quante notti le ha attraversate nel buio pesto dei boschi carico come un animale da soma, cercando di passare la frontiera con la sua bricolla stipata di pacchetti di sigarette.
Ottocentocinquanta pacchetti di sigarette in ogni bricolla - «Ce ne stavano ottocentocinquanta lì dentro, di qua le Marlboro a quel tempo costavano 220 lire, le svizzere 160. Quelle di contrabbando le rivendevano a 100».
L'inizio della carriera quando non aveva neanche 15 anni - Non aveva neanche 15 anni quando «per aiutare la famiglia» fece il suo primo viaggio. Chi glielo propose fu quello che sarebbe diventato poi suo cognato, «ex contrabbandiere e molto più grande di me».
«Ma io prima di fare una cosa del genere devo chiedere alla mamma e al papà» ricorda di avergli detto al futuro marito di sua sorella. In casa quell'idea non fece per troppo tempo il giro del tavolo quando, davanti a un piatto di minestra, lo sguardo dei suoi genitori incrociò silenzioso il suo. C'era bisogno di soldi in quella famiglia di nove fratelli.
Ore e ore di cammino nel gelo delle montagne di confine - Dal tepore della stufa a legna al gelo delle notti che trafigge, con l'aria che viene su dal lago, le montagne del confine. Lo caricarono, una sera intorno alle nove, lui e altri cinque o sei compagni di contrabbando, su una macchina e «ci portarono dentro - ricorda - dove c'erano delle cascine. Li quelli dell'organizzazione si erano già messi d'accordo con dei contadini svizzeri che avrebbero dovuto già farci trovare pronte le bricolle piene di sigarette. Da quel momento toccava a noi».
Dodici ore di cammino, a volte, lungo mulattiere e dirupi, tra cinghiali e bestie selvatiche, cercando di far arrivare il carico a destinazione. Ogni tanto una sosta, con qualche suo compagno che per allontanare il freddo dava fuoco al "braciere" di una sigaretta, alimentandola anche con un sorso di cognac.
Un contrabbandiere che non si è mai fatto prendere - «Non mi hanno mai preso, solo una volta ci sono andati vicini. Le guardie mi hanno lanciato dietro i cani. Ma non mi sono fatto prendere e la bricolla è arrivata come me sana e salva dall'altra parte».
Gli amici finanzieri - Con qualcuno dei finanzieri da cui si doveva ben guardare, «capitava a volte di trovarsi al circolo del paese. Con alcuni si era anche in confidenza, loro sapevano cosa facevo». Come a dire che ognuno, in talune occasioni, riconosceva funzioni e ruoli dell'altro e che a volte qualche concessione andava fatta.
«Beh, se con uno ti conoscevi bene, poteva anche capitare che ogni tanto chiudevano un occhio» si lascia andare timidamente e quasi con un accenno di pudore a questa piccola confessione.
L'uscita dal giro negli anni '70 - Il "Cimino" ha smesso di fare lo spallone all'inizio degli anni '70, quando il contrabbando ha cominciato a diversificarsi: «Cominciarono con le pellicce, a me quella roba lì non interessava. Noi eravamo quelli delle sigarette» argomenta mentre gli fionda dentro una fitta di nostalgia.
La nostalgia di quel lavoro e il concetto tutto "spallone" di libertà - «Penso che se tornassi indietro tornerei a fare quella vita, perché comunque riuscivi ad assaporare la libertà, e la paura che magari provavi perché le guardie potevano prenderti e portarti in galera, non è paragonabile a quella che si respira oggi, in questo mondo di adesso. Il contrabbando significava anche questo, essere liberi».