Lavoratori e rappresentanza sindacale chiedono la riapertura della casa da gioco: «Anche sotto una gestione controllata se è il caso»
CAMPIONE D'ITALIA - L’ammontare dei debiti del casinò di Campione, di cui ieri il Tribunale di Como ha dichiarato il fallimento, ammonterebbe a 132 milioni di euro, 42 dei quali spettano al Comune di Campione d’Italia, socio unico della Casa da gioco.
Sono circa 500 invece i lavoratori per i quali si prospettano ora tempi difficili. Alcuni di questi da questa mattina hanno iniziato un presidio davanti al Municipio, manifestando non solo contro la chiusura della casa da gioco, ma anche per ottenere gli stipendi non pagati.
«Siamo qui, tutti uniti, nel tentativo di sensibilizzare su quanto accaduto - ci spiega Paolo Bortoluzzi, componente della rappresentanza sindacale unitaria della casa da gioco -. Non si tratta della chiusura di una ditta nell'hinterland milanese, si è messo in ginocchio un paese intero».
Per Bortoluzzi lo "sfascio" del Casinò è da attribuirsi alla «cattiva gestione degli anni passati». Lo soluzione per il sindacalista non è tuttavia «nella vendita di una cattedrale nel deserto quanto piuttosto la riapertura della casa da gioco». «Ha una ricchezza che produceva 90 milioni l'anno - prosegue il sindacalista -. Con il nuovo accordo si era trovato un equilibrio tra incassi e costo lavoro. Il Casinò era finalmente in grado di pagare i suoi debiti». Debiti che secondo il rappresentante dei dipendenti della casa da gioco sono dipesi dall'ente pubblico: «Succhiava troppe risorse. Il Casinò si è indebitato perché non riusciva più a sorreggere queste spese».
Per Bortoluzzi il ruolo del Municipio, in questa circostanza, deve essere quello di «tutelare la collettività, riconoscere la peculiarità di Campione e fare in modo di far ripartire la casa da gioco». «Con centinaia di licenziamenti abbiamo dimostrato la vonontà di fare gli interessi di questa azienda. Nella sua analisi il commissario ci ha sorpreso. Di fatto ci siamo rimessi all'esame di una situazione complessa effettuata in soli due giorni. Crediamo non si sia preso il tempo necessario. Pur nella legittimità della decisione rimaniamo basiti per le conseguenze di tale scelta e per l'irremovibilità che non ci permette di metterci a un tavolo e discutere».
Il presidio insomma promette di durare a lungo: «Almeno fino a che i lavoratori non avranno risposte definitive. Ci sono curatori fallimentari che stanno facendo il loro lavoro, ma noi chiediamo che si riapra. Anche sotto una gestione controllata se è il caso».
«Agisca la politica» - Anche per il sindacato CGIL di Como la situazione è tragica. Lo precisa il segretario generale Giacomo Licata: «In un comune con meno di duemila abitanti - commenta Giacomo Licata, segretario generale Cgil Como - fallisce l’unica azienda del territorio che occupa cinquecento persone. Inoltre, si dice che il Comune dovrebbe passare dagli attuali 104 dipendenti a circa venti. Inutile, quindi, sottolineare quanto sia drammatico il momento».
Licata si dice stupito del silenzio "assordante" della politica: «Fra le istituzioni e chi ha responsabilità di Governo nessuno ha sentito l’esigenza di portare solidarietà ai lavoratori e soprattutto preoccuparsi di analizzare con i soggetti coinvolti le possibili soluzioni. A Campione c’è un problema di ordine pubblico e di tenuta sociale di una comunità. Il nostro territorio, che tra l’altro esprime importanti figure sia in Regione sia nel Governo e, ha urgente bisogno di attenzione. Chiediamo al Ministero degli Interni, al Prefetto e alle istituzioni politiche ed economiche tempestivi interventi».