Il “WhatsApp” di Ermani sarebbe indicativo «del trattamento che viene riservato alle donne nell'amministrazione»
BELLINZONA - «Nei messaggi di Ermani emerge chiaramente una subcultura maschilista e stereotipata del ruolo delle donne». Da qualunque lato li si analizzino quei messaggi “WhatsApp” inviati dal presidente del Tribunale penale Mauro Ermani al Procuratore generale Andrea Pagani si prestano alla critica. Anche ad una critica linguistica, sostiene un’interpellanza appena presentata dal Gruppo MPS-POP-Indipendenti. «Ci chiediamo se non sia il caso di soffermarci, ancora una volta, sul trattamento che viene riservato alle donne all’interno della pubblica amministrazione e non solo» scrivono i deputati rivolti al Consiglio di Stato.
«Sia la versione ufficiale, quel “trattamela bene”, sia quella ufficiosa nella quale Ermani dice “se me la rubi” riferito sempre alla collega, sono espressioni eloquenti ed esemplari dell’idea, purtroppo diffusissima, delle donne come oggetti appartenenti agli uomini, soprattutto se tra questi si instaura un rapporto professionale di potere» scrivono i tre deputati riferendosi al messaggio che ha dato il via al caso dei "WhatsApp del venerdì sera". Questo, secondo l’interpellanza, porterebbe a tutta una serie di conseguenze: «Dalla necessità di “proteggerle” (siamo ancora al “sesso debole), a quello di aiutarle a far carriera, a quello di essere oggetto di “trattativa” tra uomini di potere per il loro possesso, etc».
Nell’atto parlamentare non viene risparmiato neppure il destinatario: «Il fatto che il PG non si sia sentito nemmeno in dovere di rispondere per le rime (qualcosa del tipo: “è tua proprietà”? “se la trattassimo male, saprebbe sicuramente difendersi”) è pure significativo di un certo modo di pensare».