Nasce l'idea di un progetto pilota per una settimana da 32 ore lavorative, con salario pieno.
«Lo stress ha un costo. Il modello attuale ci fa male». È questo il messaggio della mozione lanciata dai granconsiglieri Fabrizio Sirica (PS) e Marco Noi (verdi).
BELLINZONA - Stipendio pieno. Ma con otto ore di lavoro in meno. Prende sempre più piede il modello della settimana da quattro giorni. E in Ticino arriva la prima proposta per una sua concretizzazione. Una mozione lanciata dai granconsiglieri Fabrizio Sirica (PS) e Marco Noi (Verdi) chiede infatti il lancio di un progetto pilota per una settimana lavorativa da 32 ore, con salario al 100%. A sostenerli non è solo la sinistra, con i cofirmatari Laura Riget (PS) e Cristina Gardenghi (Verdi), ma anche la destra, con Natalia Ferrara (PLR) e Matteo Quadranti (PLR).
Nel pubblico, ma anche nel privato - L'idea è quella di testare il modello sia all'interno dell'amministrazione pubblica che nel privato. Il Consiglio di Stato dovrebbe così identificare un certo numero di dipendenti del pubblico che possano prestarsi allo studio e stanziare un credito per stimolare la partecipazione delle aziende private. Questo «per misurare l'effetto della settimana corta sulla produttività, sulla salute dei dipendenti, le ricadute sulla conciliabilità lavoro/famiglia e l'impatto ambientale».
«Lo stress costa caro» - Sono molteplici le motivazioni per le quali, secondo i firmatari, la mozione va approvata. In primis, «lo stress ha i suoi costi», diretti e indiretti. E a provarlo sarebbero due diversi studi, uno della SECO risalente al 2003 e uno della Fondazione promozione salute svizzera del 2020. La prima, «aveva calcolato costi per un totale di 4,2 miliardi di franchi», mentre la seconda, «costi per 7,6 miliardi» legati alle giornate di malattia, alla malattia di lunga durata e al forte turn over del personale causato da condizioni di lavoro stressanti. Al contrario, si legge nella mozione, «diversi studi condotti in Islanda, Giappone e Nuova Zelanda hanno rilevato che una riduzione dell’orario di lavoro e una maggiore attenzione alle condizioni lavorative dei dipendenti può portare ad importanti benefici per salute e benessere, ma anche per la produttività».
«Ne soffrono le persone e la produttività» - Sirica non ha dubbi, il sistema attuale ci fa male, e in tanti modi: «La modalità di lavoro oggi adottata in Svizzera, che è uno dei Paesi con più ore medie di lavoro, nuoce sia alle persone, creando costi che poi paghiamo tutti attraverso le assicurazioni sociali, che alla produttività, perché ci sono troppi tempi morti». Questo tipo di modello, aggiunge il co-presidente del Partito socialista ticinese, «è inoltre pienamente sostenibile sotto il profilo economico e aiuterebbe a ridistribuire la ricchezza in maniera più equa».
Più equo, più green - La riduzione dell’orario di lavoro al medesimo salario favorirebbe inoltre, per uomini e donne, una maggiore conciliabilità tra lavoro e cura di figli e genitori anziani. Questo modello «permetterebbe alle coppie che hanno aspirazioni egualitarie di ripartire più equamente il lavoro remunerato e il lavoro domestico/di cura», così che le donne non siano "costrette" al lavoro parziale. Questo nuovo modello economico porterebbe infine dei benefici anche sul piano ambientale. Ridurre le ore lavorative taglierebbe infatti, secondo Sirica e Noi, i consumi.
«Chi lavora meno sta meno bene» - Ma l'idea della settimana da quattro giorni non entusiasma tutti. Per il granconsigliere e capogruppo UDC Sergio Morisoli, «chi lavora meno sta meno bene. È un fatto». La Svizzera «funziona proprio perché ha un'alta produttività. Per mantenere una società di alto livello come la nostra è necessario mantenere un input di lavoro alto». Riducendo le ore lavorative, continua, «daremmo un vantaggio competitivo enorme a Paesi che vanno esattamente nella direzione opposta». Avere più tempo libero può inoltre avere anche i suoi lati negativi, sottolinea Morisoli: «Si consuma di più e ci si indebita di più». Se un'azienda vuole applicare questa formula di propria spontanea volontà, conclude il capogruppo UDC, «è libera di farlo, ma sono contrario a un'applicazione su larga scala di questo modello».