Raffaella Soffiantini, Candidata n. 49 della lista PLR n. 2 al Consiglio Comunale di Lugano
LUGANO - Quando si parla di apprendisti la tendenza per chi è chiamato a proporre qualcosa di concreto è quella di formulare un aumento del loro numero. Affrontiamo il tema da un’altra angolatura, perché è soprattutto una questione d'impostazione e di qualità.
Spesso mi pongo la seguente domanda: “Ha un senso continuare a formare così tanti apprendisti di commercio e di vendita?”.
La domanda è più che legittima essendo di nostra responsabilità indirizzare i giovani verso formazioni che abbiano un futuro. Nell’ultimo anno abbiamo visto come il mondo del lavoro è stato stravolto dalla pandemia e come la digitalizzazione l’abbia fatta da padrone. Sicuramente gli orientatori professionali attivi nelle varie sedi scolastiche hanno preso coscienza di ciò e auspico che riescano a mostrare valide alternative per far nascere nuovi interessi nei giovani che intendono intraprendere la strada del tirocinio. È anche importante riuscire a capire di ogni singolo giovane quali siano le sue potenzialità, magari ancora immature o nascoste, ma sicuramente presenti e su cui bisogna investire. Purtroppo, la scuola di oggi non presta molta attenzione a questo aspetto e spesso i giovani che desiderano optare per un apprendistato sono assai disorientati.
Oltre alla scelta del tipo di apprendistato è importante che in seno alle aziende formatrici, pubbliche o private, ci siano le condizioni e la volontà d'investire sugli apprendisti. Seguire un apprendista, se lo si fa seriamente, è impegnativo, ci vuole la risorsa del tempo, che non tutti hanno. Sarebbe, inoltre, interessante che gli apprendisti possano ricevere dall’azienda in cui sono occupati la possibilità d'iscriversi a dei corsi extra per colmare le proprie lacune o per esplorare materie verso cui dimostrano particolare interesse.
Sentire di giovani che dopo aver ottenuto il diploma non riescono a trovare il primo impiego fa male. Non dovrebbe succedere. Personalmente non posso esprimermi per il settore privato, ma avendo lavorato per tanti anni nel pubblico ritengo che almeno i Comuni debbano fare di più in questo ambito. Ancora una volta non è un questione di numeri, di quanti apprendisti siano formati ogni anno e di quanti ottengano questa opportunità. Non ci si può fermare lì.
Si sa benissimo che quando si va alla ricerca del primo impiego viene richiesta l’esperienza, la conoscenza delle lingue nazionali e dell’inglese, e una sommatoria di altri requisiti. È importante che i Comuni (ed eventuali aziende che desiderano seguirne l’esempio) facciano uno sforzo in più, prevedendo la possibilità per i neodiplomati di proseguire il proprio percorso professionale e formativo in azienda.In sintesi, l’idea è questa: un anno come impiegato a tempo determinato con un accompagnamento interno di qualità da parte delle Risorse Umane per garantire ai neodiplomati la continuazione della formazione e aumentare le possibilità di trovare il primo impiego. Colmare le lacune, acquisire ancora più competenze e consolidarle in un ambito in cui si è particolarmente portati, dare la possibilità di ampliare le proprie conoscenze, in particolare, in ambito informatico oppure attraverso l’apprendimento di una nuova lingua straniera.
E tutto ciò per confermare che essere “apprendista” non è solo una questione di numeri.