di Morena Ferrari Gamba, Presidente Circolo Liberale di Cultura Carlo Battaglini
LUGANO - Tra scenari apocalittici ed entusiasmo incondizionato verso l’Intelligenza Artificiale (IA), dobbiamo prima di tutto combattere la pigrizia: pigrizia nel non voler sapere e comprendere e, allo stesso modo, pigrizia nell’accoglierla senza pregiudizi e con un uso incondizionato.
Abbiamo paura? Sì. Il progresso fa sempre paura! Ma fino ad oggi il progresso tecnologico era rivolto alle macchine per provare a lavorare il meno possibile…fisicamente. Finché la tecnologia ci ha tolto la fatica fisica, ne siamo stati contenti, ma se ci toglie anche il pensiero, il ragionamento e la creatività, cosa ci resta? L’avvento di ChatGPT, arrivato così repentinamente, ci ha messo davanti a qualcosa di preoccupante. Pensare che il linguaggio umano fosse replicabile da una macchina sembrava solo fantascienza. Il futuro è arrivato, come una bomba. ChatGPT è un software che riesce a soddisfare qualunque richiesta: una curiosità, una tesi, un articolo, persino una risposta alle nostre ansie e preoccupazione, siano esse lavorative, sentimentali o intime. Il passo successivo sarà un robot fatto a nostra immagine e somiglianza, compreso quella dimensione umana che si chiama “empatia”. Macchine antropomorfe che gesticolano, parlano come noi, ne sanno più di noi e ci daranno tutte le risposte di cui andiamo alla ricerca, persino di sentimenti. Non manca molto al loro perfezionamento. Ecco allora il dilemma e la preoccupazione dei comuni mortali: che ne sarà di noi, del nostro libero arbitrio, delle nostre scelte incondizionate?
Ma noi abbiamo bisogno di tanta rapidità? Non è meglio investire sulla cultura e la formazione che ci consentono di avere una maggiore consapevolezza della responsabilità individuale e collettiva, oltre a dotarci di strumenti per adattarci ed essere noi i protagonisti e non gli algoritmi?
Se personaggi come Yoshua Bengio, uno dei massimi esperti al mondo di IA e primo firmatario della richiesta di moratoria (uno stop di 6 mesi alle ricerche in questo settore) o ancora Geoffrey Hinton, considerato il "padrino dell'Intelligenza artificiale", che ha denunciato i pericoli dell’IA lasciando Google, non dovremmo essere preoccupati anche noi?
Partiamo dal fatto che la tecnologia non è né buona né cattiva. Dipende solo dal come e chi la usa. Purtroppo, il nostro cervello si è impigrito nel pensare, nel creare, nel non mettere in campo quel senso critico che fa porre domande e dubbi. Non ricordiamo più i numeri del telefono, non facciamo più di conto, ci facciamo misurare il cuore, il sonno, facciamo leggere invece di leggere, ascoltiamo la musica e guardiamo film che l’IA ci propone. Ora facciamo anche scrivere i nostri pensieri e come svolgere al meglio nostre attività. Il tutto addirittura con un “semplice” smartphone! In cambio dei “suoi sevizi” noi ci “consegniamo”, ogni giorno, dando i nostri dati e il potere di utilizzarli (Facebook, Twitter, Amazon, ecc.) e così il prodotto diventiamo noi: il diritto di privacy diventa il diritto di controllo su di noi. Purtroppo, non solo per venderci qualcosa, ma anche per condizionare il nostro pensiero.
Allora è forse giusto porre un freno, una moratoria per trovare un quadro di principi per disciplinare l'IA. Non tocca alla scienza farlo, tocca alla politica e agli intellettuali, a chi si occupa di etica, per determinare il confine tra il consentito eticamente possibile e, a quel punto, giuridicamente consentito. Ce la possiamo fare.
L’IA deve essere un dono e non una condanna. Parafrasando Pascal, dovremmo riconoscere che l’animo umano ha le sue ragioni, che “l’IA” non conosce.
Non diventiamo pigri artificiali, non permettiamo proprio tutto, ricordando Isaac Asimov: “la tecnologia è pericolosa, la risposta a questo problema sta nella saggezza.”
Morena Ferrari Gamba
Presidente Circolo Liberale di Cultura Carlo Battaglini