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AFRICAConflitti armati e repressione statale: la durissima lotta per i diritti umani nell'Africa subsahariana

08.04.20 - 01:01
Le notizie positive che arrivano da Etiopia e Sudan sono purtroppo delle eccezioni
KEYSTONE
Le proteste in Sudan dei mesi scorsi, tra le pochissime che sono andate a buon fine nell'Africa subsahariana.
Le proteste in Sudan dei mesi scorsi, tra le pochissime che sono andate a buon fine nell'Africa subsahariana.
Conflitti armati e repressione statale: la durissima lotta per i diritti umani nell'Africa subsahariana
Le notizie positive che arrivano da Etiopia e Sudan sono purtroppo delle eccezioni

Amnesty International ha presentato il suo Rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in Africa per il 2019.

Lo scorso anno è stato all'insegna delle manifestazioni di protesta a difesa dei diritti. Scendere in piazza nell'Africa subsahariana è una faccenda pericolosa, tra conflitti in corso e repressione statale a colpi di manganello o d'arma da fuoco. Le coraggiose istanze dei vari movimenti di protesta, rileva l'organizzazione internazionale, sono state in larghissima parte ignorate in tutta la regione.

Il rapporto analizza i principali sviluppi dello scorso anno, tra cui la deposizione del presidente sudanese Omar al-Bashir, la risposta del governo dello Zimbabwe alle proteste di massa e l'aumento degli attacchi contro civili in Mozambico e Mali. «Nel 2019 abbiamo visto l’incredibile forza del potere popolare esprimersi nelle proteste di massa che hanno travolto l'Africa subsahariana. Dal Sudan allo Zimbabwe, dalla Repubblica Democratica del Congo alla Guinea: la popolazione ha sfidato una brutale repressione per difendere i propri diritti», ha dichiarato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l'Africa orientale e meridionale. «In alcuni casi, queste proteste hanno portato a grandi cambiamenti. Ad esempio, dopo il rovesciamento del leader sudanese Omar al-Bashir, le nuove autorità hanno promesso riforme favorevoli ai diritti umani e, sempre in seguito alle proteste, il governo etiope ha introdotto un pacchetto di riforme per i diritti umani. Purtroppo, altri cambiamenti necessari sono stati bloccati da governi repressivi, che continuano impunemente a commettere violazioni».

Conflitto e crisi - Nella regione sudanese del Darfur, rileva Amnesty International, le forze governative hanno continuato a commettere possibili crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni illegali, violenze sessuali, saccheggi sistematici e spostamenti forzati. Nella Repubblica Democratica del Congo decine di gruppi armati locali e stranieri, insieme alle forze di sicurezza del Paese, hanno continuato a commettere violazioni dei diritti umani che, nel corso del 2019, hanno causato più di 2000 morti tra i civili e almeno un milione di sfollati.

In Somalia, i civili hanno continuato a convivere con gli attacchi da parte del gruppo armato Al-Shabaab, mentre il governo e le forze internazionali alleate non hanno preso sufficienti precauzioni per proteggere i civili dalla minaccia dell'organizzazione jihadista. Gruppi armati hanno effettuato attacchi diretti contro i civili in Camerun, Repubblica Centrafricana e Burkina Faso, senza che le autorità riuscissero a proteggere la popolazione. La sicurezza si è deteriorata in modo significativo nel centro del Mali, con uccisioni di civili da parte di gruppi armati e gruppi autoproclamatisi "di autodifesa". In risposta, le forze di sicurezza maliane hanno commesso molteplici violazioni, tra cui esecuzioni extragiudiziali e torture.

A Cabo Delgado, in Mozambico, i gruppi armati hanno continuato a compiere attacchi contro la popolazione e le forze di sicurezza sono state accusate di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani nel rispondere alle violenze. In Etiopia, gli scontri tra le comunità etniche sono stati accolti con una risposta sproporzionata da parte delle forze di sicurezza. Nelle regioni anglofone del Camerun, gruppi separatisti armati hanno continuato a commettere abusi, tra cui uccisioni, mutilazioni e rapimenti. Anche diverse strutture sanitarie sono state distrutte dai separatisti armati. In reazione i militari hanno commesso esecuzioni extragiudiziali e bruciato case.

Il coronavirus - A peggiorare la già precaria situazione è arrivata anche l'emergenza coronavirus. Secondo i dati rilasciati dal Centro di controllo delle malattie dell’Unione Africana, nell'intero continente è stata superata la soglia dei 10mila casi da Covid-19 con più di 480 decessi. Il primo Paese per numero di vittime è l’Algeria con 173 morti mentre il Sudafrica è quello con più casi registrati, oltre 1600. «L'accesso all'assistenza sanitaria rimane una delle principali preoccupazioni per le persone in tutta la regione subsahariana, con bilanci sanitari sotto-finanziati che portano alla carenza di letti e farmaci negli ospedali. I governi - dall'Angola allo Zimbabwe, dal Burundi al Camerun - non hanno rispettato il diritto alla salute e i conflitti hanno aggravato la situazione», ha detto Samira Daoud, direttrice regionale per l'Africa occidentale e centrale di Amnesty International. «Non c'è tempo da perdere per affrontare le disuguaglianze e le violazioni dei diritti umani che rendono l'assistenza sanitaria inaccessibile per molti».

Violenta repressione statale - In tutta la regione i difensori dei diritti umani sono stati perseguitati e molestati per essersi ribellati e aver parlato contro i governi. Nel 2019 in Burundi, Malawi, Mozambico, Swaziland, Zambia e Guinea Equatoriale si è assistito a un'ondata di repressione dell'attivismo. In Malawi gli attivisti che dopo le elezioni di maggio hanno organizzato e guidato manifestazioni per denunciare presunti brogli elettorali, sono stati attaccati e intimiditi da giovani quadri del partito al potere e perseguiti dalle autorità. Il voto è stato poi annullato dai tribunali e il Paese si sta preparando per un'altra elezione, che si terrà nel corso di quest'anno.

In Zimbabwe, almeno 22 difensori dei diritti umani, attivisti, esponenti della società civile e leader dell'opposizione sono stati accusati a causa del loro presunto ruolo nell'organizzazione, nel gennaio 2019, di proteste contro l'aumento dei prezzi del carburante. Le forze di sicurezza hanno scatenato una violenta repressione, uccidendo almeno 15 persone e ferendone decine di altre. In Guinea, dove le autorità hanno vietato oltre 20 proteste «su basi vaghe ed eccessivamente ampie», si legge sempre nel Rapporto, «le forze di sicurezza hanno continuato ad alimentare la violenza durante le manifestazioni e lo scorso anno sono state uccise almeno 17 persone. In 17 Paesi dell'Africa subsahariana, lo scorso anno, dei giornalisti sono stati arbitrariamente arrestati e detenuti. In Nigeria, ad esempio, sono stati registrati 19 casi di aggressione, arresto arbitrario e detenzione di giornalisti, con molte accuse inventate. In Burundi, le autorità hanno continuato a reprimere il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle organizzazioni della società civile, anche sottoponendoli a procedimenti giudiziari e a lunghe pene detentive.

Fuggire via - A causa di queste situazioni centinaia di migliaia di persone nella regione sono state costrette a fuggire dalle loro case in cerca di protezione. Nella Repubblica Centrafricana ci sono stati circa 600mila sfollati interni; più di 222mila persone in Ciad e oltre mezzo milione in Burkina Faso. In Sudafrica, la violenza xenofoba sistematica e mortale è continuata contro i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti, in parte a causa di anni d'impunità per attacchi avvenuti in passato e per i fallimenti della giustizia penale. Dodici persone, tra cui sudafricani e stranieri, sono state uccise dopo le violenze scoppiate tra agosto e settembre.

Vittorie per i diritti umani - Nonostante il quadro desolante, l'anno scorso sono emerse alcune importanti vittorie in materia di diritti umani. Nell'aprile 2019 in Sudan le proteste di massa hanno messo fine al governo repressivo di Omar al-Bashir, e le nuove autorità hanno promesso ampie riforme per migliorare la situazione dei diritti umani nel paese. In Etiopia è stata abrogata la legislazione che disciplinava la società civile limitando i diritti alla libertà di associazione e di espressione, e ha presentato al Parlamento una nuova legge per sostituire la draconiana legislazione antiterrorismo. Nella Repubblica Democratica del Congo, le autorità hanno annunciato il rilascio di 700 prigionieri, tra cui diversi prigionieri di coscienza.

Ci sono state anche vittorie individuali: in Mauritania, il blogger e prigioniero di coscienza Mohamed Mkhaïtir è stato rilasciato dopo oltre cinque anni di detenzione arbitraria. C'è stato un barlume di speranza per il popolo somalo quando, nell’aprile 2019, il Comando militare americano per l'Africa (AFRI-COM) ha ammesso per la prima volta di aver ucciso civili negli attacchi aerei mirati contro Al-Shabaab, aprendo la porta al risarcimento delle vittime.

Ci sono stati anche alcuni progressi nei tribunali ordinari della Repubblica Centrafricana che hanno esaminato alcuni casi di abusi da parte di gruppi armati. Il Tribunale penale speciale ha ricevuto 27 denunce e l'anno scorso ha avviato le indagini. «Nel 2019, attivisti e giovani hanno sfidato l'ordine costituito. Nel 2020, i leader devono ascoltare le loro richieste e lavorare per le riforme urgentemente necessarie che rispettano i diritti di tutti», ha detto Samira Daoud.

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