È un sentiero già percorso in passato, che pone però ostacoli da un punto di vista etico
CAMBRIDGE - Non prima di un anno. Almeno diciotto mesi. Già nel prossimo autunno o entro la fine del 2020. Quando si parla dell’arrivo di un possibile vaccino per il nuovo coronavirus, il tassello mancante che consentirebbe un rapido ritorno alla normalità, le pagine del calendario vengono sfogliate avanti e indietro senza sosta.
La necessità di velocizzare lo sviluppo di un vaccino per arrestare la pandemia ha riacceso le discussioni anche sul piano etico, con una frangia di esperti che sostiene a gran voce la via degli “human challenge trials”, ossia la possibilità di infettare alcuni volontari con il patogeno. Un possibile sprint dai contorni controversi - rilanciato anche da uno studio pubblicato su The Journal of Infectious Diseases - per il quale sono attese nelle prossime settimane nuove linee guida da parte dell’Oms, che li considera una sorta di “extrema ratio” in assenza di altre possibilità.
Si tratta di un sentiero già percorso in passato, per sviluppare ad esempio i vaccini contro il vaiolo, il colera, il tifo addominale e l’influenza. Secondo Peter Smith, autore dello studio summenzionato, i “challenge trials” potrebbero ridurre significativamente il «fardello di mortalità» legato al coronavirus. E la “sfida” sarebbe «accettabile» se assunta da «giovani adulti in salute, che hanno possibilità molto ridotte di sviluppare un decorso grave a seguito dell’infezione».
La distanza dall'orizzonte - L’appello si è fatto strada anche attraverso il Web, dove un team di ricercatori ha lanciato la campagna “1DaySooner” con l’obiettivo di reclutare volontari per la terza fase dei test, ricevendo oltre 10mila adesioni da 52 diversi paesi. Un passo di certo non semplice ma che, considerata l’emergenza senza precedenti, potrebbe riavvicinare l’orizzonte della tanto agognata normalità.
In caso contrario, la pandemia potrebbe durare invece fino al 2022, secondo un rapporto pubblicato la scorsa settimana dal Center for Infectious Disease Research and Policy dell'Università del Minnesota, in cui vengono tracciati tre possibili scenari sull'evoluzione del contagio, basati sull'andamento della curva di diffusione dell'Influenza spagnola poco più di un secolo fa. La peggiore delle proiezioni ricalca quanto avvenne tra il 1918 e l'anno successivo, suggerendo l'arrivo di una seconda (e più marcata) ondata pandemica durante il prossimo autunno. Ed è proprio sulla base di questa eventualità, scrivono gli autori del documento, che le autorità dovranno pianificare la situazione futura.