Il virologo Guido Silvestri critica l'inadeguatezza dei modelli matematici per prevedere l'evoluzione della pandemia
Per il virologo la marcata omoplasia del virus è una prova scientifica «indiretta ma solidissima» di un «rapido, progressivo e convergente adattamento di SARS-CoV-2 all’ospite umano».
ATLANTA / ROMA - Oggi, 8 giugno, è il giorno segnato con una grossa “x” rossa nelle previsioni tracciate lo scorso aprile dall’Istituto superiore di sanità, che nel peggior scenario di riaperture ipotizzava una situazione con 151'000 ricoveri in terapia intensiva negli ospedali italiani. Su questa previsione è tornato a esprimersi Guido Silvestri, virologo e docente alla Emory University di Atlanta, che non ha mai fatto segreto delle sue posizioni critiche nei confronti degli scenari nefasti disegnati da alcuni modelli matematici.
«Oggi è il fatidico 8 giugno, quello che se non stavamo attenti avremmo avuto 151'000 malati in terapia intensiva (invece sono 286). E dopo 34 e 20 giorni dalle "aperture" di maggio non c'è alcun segno di quel ritorno della pandemia che certi esperti davano per scontato», ha scritto oggi Silvestri sulla propria pagina Facebook, aggiungendo che la situazione attuale «mostra come questi modelli siano stati inadeguati a prevedere l’andamento reale dell’epidemia» e che sarebbe doveroso promettere agli italiani che «tali modelli non saranno più usati per prendere decisioni politiche».
«Prima del 4 maggio», ha ricordato il virologo, «certi esperti, basandosi su modelli matematici, hanno detto al Paese: “Sappiate che non appena si riapre i casi sicuramente saliranno – di poco se riapriamo un po’, e tantissimo se riapriamo molto”». In altre parole, disegnavano i contorni di un «disastro» che invece non è avvenuto.
La prova nell'omoplasia - Parlando della «ritirata» del Covid-19, Silvestri cita inoltre uno studio effettuato da un team dell’Istituto di Genetica dell’University College di Londra, che suggerisce la possibilità che la virulenza del SARS-CoV2 possa essersi attenuata. «L’evoluzione di SARS-CoV-2 nelle diverse parti del mondo è caratterizzata da alti livelli di omoplasia», ossia il fenomeno «per cui un virus muta in modo “indipendentemente simile” in diverse aree geografiche, e senza avere un progenitore comune».
La presenza di omoplasia «così marcata e in così breve tempo porta evidenza scientifica - indiretta ma solidissima - a favore dell’ipotesi di un rapido, progressivo e convergente adattamento di SARS-CoV-2 all’ospite umano», afferma il virologo. «Siccome i dati globali sulla letalità cruda di COVID-19 indicano che questa diminuisce col tempo in ogni sito epidemico, e siccome la maggior parte degli adattamenti virus-host vanno nella direzione di una ridotta patogenicità solo degli analfabeti della virologia possono tacciare di “pseudo-scienza” l’ipotesi secondo cui tale robusto pattern di mutazioni omoplasiche possa risultare in un fenotipo virale a virulenza attenuata».