Ricorre oggi la Giornata mondiale contro l’AIDS. Una lotta complicata dal Covid
NEW YORK - Sono pochi i Paesi che entro la fine del 2020 riusciranno a raggiungere il cosiddetto “obiettivo 90-90-90” - diagnosi per il 90% dei casi di HIV, terapia per il 90% dei casi diagnosticati e abbattimento, in questi ultimi, del 90% della carica virale - nella lotta contro l’AIDS.
Se in alcune nazioni (e la Svizzera è una di queste) la pandemia di Covid-19 ha contribuito a rallentare, complici i lockdown, la diffusione del retrovirus, i suoi effetti nefasti pongono invece una ben più seria minaccia nei territori i cui i sistemi sanitari erano già fragili ben prima dell’arrivo del nuovo coronavirus. Aree fortemente colpite come l’Africa sub-sahariana, calcolando un’interruzione di 6 mesi nel trattamento del 50% dei pazienti, potrebbero registrare un balzo di quasi 300mila morti entro un anno.
Un altro punto critico - si legge su The Lancet - riguarda poi i servizi destinati all’ambito della trasmissione della malattia tra madre e figlio, dove un semestre di stop può tradursi in un incremento nel numero delle nuove infezioni, dal 40% all’80%.
La battaglia contro l’HIV si appresta a entrare nel suo quinto decennio - quello che dovrebbe essere decisivo, secondo le strategie - ed è costata oltre 32 milioni di vite.
Se da un lato la pandemia di Covid non ha investito la lotta all’AIDS gravemente come si pensava potesse fare, è altresì vero che le forti diseguaglianze tra le aree geografiche - gravate da una crisi che richiederà anni per essere assorbita - rendono l’HIV un fardello assai gravoso, soprattutto guardando al 2030, soglia entro la quale l’Onu si è impegnata a volerlo sradicare quale minaccia alla salute pubblica. È un obiettivo ancora raggiungibile? Di certo non senza uno sforzo globale.