Nulla di fatto nella cena tra Ursula von der Leyen e Boris Johnson. A Londra, intanto, si scaldano gli animi.
BRUXELLES / LONDRA - La cena dell'ultima chance tra la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il premier britannico Boris Johnson - a base di rombo e Pavlova ai frutti esotici - non ha dato i risultati sperati. Ancora troppo presto per staccare la spina ai negoziati sull'accordo di libero scambio tra l'Ue e il Regno Unito, ma le divergenze tra le parti restano profonde, e le possibilità di successo appaiono sempre più risicate, mentre ora si veleggia verso la nuova scadenza di domenica, per una decisione finale.
La fumata che si è levata da palazzo Berlaymont al termine dell'incontro durato tre ore, è stata di un grigio scuro, tendente al nero. Niente nuova bussola per il negoziato, solo un ultimo tentativo in extremis, forse più per un dovere, che per una reale convinzione.
Secondo fonti di Downing street, Johnson e von der Leyen hanno verificato che rimangono «distanze molto ampie», concordando però di far proseguire i negoziati fino a domenica, indicato come termine ultimo per una decisione «ferma» tra accordo o mancato accordo. Una «discussione animata e interessante», l'ha definita il comunicato pubblicato dalla Commissione europea, che ha rivelato «posizioni lontane», mentre si avvicina la scadenza naturale del 31 dicembre, quando terminerà il periodo di transizione. «Le squadre negoziali comunque si riuniranno immediatamente per cercare di risolvere le questioni essenziali».
Il destino dell'accordo sul libero scambio torna così nelle mani dei negoziatori, Michel Barnier e David Frost, tra i volti più noti della Brexit saga, iniziata più di quattro anni fa, all'indomani del 23 giugno 2016, quando i britannici votarono "leave", dicendo "goodbye" all'Ue.
Ma il resoconto della serata, rimbalzato subito a Londra, ha scatenato le opposizioni britanniche, all'attacco del premier Tory, con la ministra ombra Labour, Rachel Reeves, che ha accusato Bojo di aver promesso a suo tempo «un accordo pronto da cuocere» e di non aver mantenuto l'impegno, intimando di chiudere un'intesa senza altri indugi affinché il governo «possa concentrarsi su ciò che conta per il popolo britannico: la tutela del servizio sanitario nazionale» in tempi di emergenza Covid e la «ricostruzione economica del Paese».
La vice leader Angela Rayner ha imputato al premier conservatore di aver «completamente fallito» aggiungendo che un mancato accordo sarebbe «colpa sua e solo sua». Il "no deal" sarebbe «un fallimento imponente - ha rincarato Ian Blackford, capogruppo alla Camera dei comuni degli indipendenti scozzesi dell'Snp - in termini di diplomazia e di leadership Boris Johnson non avrebbe che da assumersene la responsabilità. In aggiunta all'impatto sanitario ed economico del Covid, questo sarebbe un atto di autolesionismo: con intralci al commercio, dazi, aumenterebbe prezzi e perdita di posti di lavoro che non sono mai un prezzo che valga la pena pagare».
Intanto anche la Commissione europea corre ai ripari e si prepara a varare nuove misure di emergenza per la prossima settimana, come richiesto dai vari Stati membri, mentre il dossier Brexit rischia di monopolizzare il vertice europeo di domani e venerdì, anche se il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, vorrebbe limitare il dossier a un semplice aggiornamento.
I nodi sul tavolo restano la pesca, questione di nicchia in termini di valore economico ma di grande importanza per Paesi costieri come Francia o Danimarca; e il cosiddetto "level playing field", ossia l'allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori per evitare una futura concorrenza sleale. Meno problematica la questione della gestione dei contenziosi futuri. Punti chiave, ma poca cosa rispetto alle migliaia di pagine e ai capitoli già chiusi, mentre ci si avvia verso un finale di partita con la speranza di un miracolo di Natale.