C'è attesa in tutto il mondo per il verdetto sull'estradizione negli Usa del fondatore di WikiLeaks
LONDRA - Sono le ore della verità per Julian Assange.
Domani mattina è atteso il verdetto della giudice Vanessa Baraitser del Tribunale penale centrale a Londra, così si saprà se il fondatore di WikiLeaks verrà estradato negli Stati Uniti oppure no. Il 49enne rischierebbe di essere imputato per una serie di reati compreso lo spionaggio e, in caso di condanna, la pena massima sarebbe di 175 anni di carcere. L'organizzazione da lui fondata ha pubblicato negli anni documenti segreti che hanno portato alla luce i crimini commessi in Afghanistan, Iraq e nella prigione di Guantanamo.
«La fine del giornalismo» - Un caso che sta attirando l'attenzione di tutto il mondo dell'informazione. In caso di verdetto contrario ad Assange sarà «la fine del giornalismo che indaga sulla sicurezza nazionale. Nessun giornalista al mondo sarà al sicuro, se vorrà praticarlo». Lo ha dichiarato Kristinn Hrafnsson, il giornalista islandese che ha preso il posto di Assange al timone di WikiLeaks.
Biden di fronte a un dilemma - Numerose petizioni chiedono che il giornalista australiano ritorni libero e sono svariate le organizzazioni che sono scese in campo a suo sostegno. Ad esempio Reporter senza frontiere (Rsf), che «condanna che Assange sia stato preso di mira per il suo contributo al giornalismo» e sostiene che «è chiaro che il caso sia motivato politicamente e lo scopo sia di fare di Assange un esempio così da intimidire i media di tutto il mondo». L'estradizione sarebbe il colpo decisivo della battaglia che il fondatore di WikiLeaks sta combattendo contro il governo statunitense. La decisione di domani metterà Washington di fronte a un bivio: l'amministrazione Biden dovrà decidere se continuare sul solco tracciato da Donald Trump oppure, come invocato da più parti, concedere la grazia ad Assange in nome della libertà di stampa.
È questo il punto chiave della vicenda, prosegue Rsf. «Se il governo Usa riuscirà ad assicurarsi l'estradizione di Assange e lo incriminerà per i suoi contributi» all'informazione dell'opinione pubblica, «lo stesso precedente potrebbe essere applicato a qualsiasi altro giornalista ovunque» nel mondo. «Le possibili conseguenze non possono essere minimizzate; in gioco c'è il futuro del giornalismo e della libertà di stampa».
Torturato psicologicamente - Assange è in un carcere britannico dall'11 aprile 2019. La sua detenzione ha suscitato un vasto moto d'indignazione e lo stesso inviato speciale Onu contro la tortura, Nils Melzer, ha affermato che il 49enne è stato torturato psicologicamente. «Melzer ha ragione: è stata usata tortura psicologica, guerriglia legale e intimidazioni» spiega Hrafnsson. «Quello che lo mantiene in vita è il fatto di sapere di aver fatto la cosa giusta e nell’interesse di tutti. È una persona con grande resilienza. Se questa situazione si risolverà presto, riuscirà a recuperare e a riprendere il giusto posto nella società con la sua fidanzata e i suoi figli e anche come persona che può contribuire molto al dibattito pubblico».
La detenzione ha logorato pesantemente Assange, conclude il suo successore: «Sono riuscito a fargli visita poche volte, poi a causa del Covid tutte le visite sono state bandite. Gli causa un gravissimo stress e la sua salute è minata. Sono scioccato dal vedere quanto peso ha perso, come a volte fosse giù e quanto fosse invecchiato».
Il padre di Assange: «Una battaglia di libertà» - (ats ans) «Dopo la catastrofe della Seconda Guerra mondiale le nazioni si sono unite e hanno creato le basi epocali per le Nazioni Unite e per la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Anche gli europei hanno creato il Consiglio d'Europa, la Corte europea dei diritti dell'uomo, e hanno integrato nella legislazione nazionale, la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo intesi come diritti umani inderogabili, e che non possono essere mai negati». Lo sottolinea John Shipton, in difesa del figlio Julian Assange.
Lo fa in una testimonianza video raccolta da Imbavagliati, Festival Internazionale di giornalismo civile, ideato e diretto da Désirée Klain, che dal 2015 dà voce a quei giornalisti che nei loro paesi hanno sperimentato il bavaglio della censura e la persecuzione di regimi dittatoriali.
«Nel Medio Oriente - continua il padre di Assange - ci sono 38 milioni di rifugiati e 5 o 6 milioni di persone sono morte. Questi sono grandi crimini di guerra, sono stati commessi da forze occupanti. Sono anche crimini contro l'umanità, quindi crimini contro di noi, le nostre madri, i nostri padri, bambini, fratelli, figli. Queste persone bramano giustizia, e lottare per Julian, contro l'abrogazione dei suoi diritti, battersi vigorosamente per questa causa, porterà un granello di speranza e giustizia a quei milioni di persone e proteggerà anche noi contro gli Stati che si stanno prendendo la libertà, di distruggere le comunità, le persone, madri, padri. Ci stanno annientando per conservare i loro privilegi. Grazie mille».