Nel 2020 Global Witness ha registrato 227 attacchi letali. La classifica è guidata da Colombia, Messico e Filippine
NEW YORK - Con l'intensificarsi della crisi climatica aumenta anche la violenza contro gli attivisti. È questo uno dei gridi di allarme lanciato da Global Witness, che dal 2012 raccoglie dati sulle uccisioni dei "difensori della terra".
Nel 2020 si sono registrati 227 attacchi letali (più di 4 a settimana), cifra che batte il già triste record del 2019. «Si tratta dell'anno più pericoloso di sempre per le persone che difendono le loro case, la terra, i mezzi di sussistenza e gli ecosistemi vitali per la biodiversità del clima. Le nostre cifre sono quasi certamente sottostimate, con molti attacchi contro i difensori che non vengono denunciati».
La metà degli attacchi contro gli attivisti per l'ambiente è avvenuto in soli tre paesi: Colombia, Messico e Filippine, evidenzia il rapporto. La classifica è guidata dalla Colombia, con ben 65 attivisti uccisi. In particolare Global Witness sottolinea come la pandemia abbia contribuito a peggiorare una situazione già difficile. «Durante i lockdown gli attivisti e difensori del pianeta sono stati presi di mira direttamente nelle proprie case, e le misure di protezione intraprese dal governo sono state tagliate».
In Messico si sono registrati 30 attacchi letali, con un aumento del 67% rispetto al 2019. Un terzo è stato collegato direttamente al disboscamento, e metà degli attacchi sono avvenuti contro le comunità indigene. E l'impunità per i crimini contro gli attivisti rimane alta: il 95% degli omicidi non si conclude con un procedimento giudiziario.
Per quanto riguarda le Filippine, oltre la metà degli attacchi letali erano direttamente collegati all'opposizione degli attivisti per progetti riguardanti l'estrazione mineraria, il disboscamento o le dighe.
Nella classifica seguono Brasile, Honduras, Congo, Guatemala, Nicaragua, Perù, India e Indonesia.
In Brasile e in Perù quasi tre quarti degli attacchi si sono verificati nella regione amazzonica.