L'origine di questa forma di malattia, secondo le ipotesi, sarebbe di tipo virale
LONDRA - Nel mondo scientifico, al momento, le certezze scarseggiano, ma secondo le ipotesi degli esperti potrebbero essere legati a un virus, forse il già noto adenovirus, i casi sospetti di epatite acuta pediatrica di origine sconosciuta registrati in Europa.
Secondo l'infettivologo Massimo Galli il responsabile dell'epatite acuta pediatrica «potrebbe essere un virus che finora non abbiamo inquadrato. Trattandosi di bambini, se vi dovesse essere una trasmissione virale, penserei a una di tipo orofecale. Mentre sono da escludere legami con il Covid e con il vaccino». Per Galli «è poco probabile che siano epatiti tossiche, perché queste sono in genere iperacute e la correlazione con cibo ingerito o con farmaco assunto è più facile da individuare».
Tra i virus sospettati di essere responsabili dei casi c'è l'adenovirus. «Nel 70% dei pazienti in Inghilterra - dice Giuseppe Indolfi, responsabile del reparto di epatologia dell'ospedale, consulente dell'Oms e coordinatore del gruppo fegato della Società europea di gastroenterologia ed epatologia - è stato identificato l'adenovirus che è un virus molto comune, solitamente dà raffreddore, febbre, mal di gola, ma raramente dà epatite acute così gravi. È chiaro che la possibile associazione tra presenza del virus nel paziente e l'epatite deve essere vagliata con attenzione perché sarebbe qualcosa di nuovo e di diverso da quello che comunemente ci aspettiamo da questo virus».
L'origine di questa forma di epatite, secondo le ipotesi, sarebbe di tipo virale. «Ne ha tutte le caratteristiche - spiega Indolfi -: i bambini in età prescolare cominciano con vomito e diarrea e poi vanno incontro a un particolare stato di stanchezza, fanno gli esami del sangue e riscontrano l'aumento delle transaminasi. Questo è tipico di un'infezione di tipo virale, ma finché non siamo certi che tutti questi casi sono determinati da uno specifico virus possiamo soltanto ipotizzarlo».
Ciò che è certo, secondo Indolfi, è che «l'associazione è più forte con l'adenovirus che con il Covid». Il nesso con il Covid secondo gli esperti non sarebbe tanto di natura causale, quanto piuttosto da ricondurre al lockdown che ha tenuto i bambini piccoli lontani dai primi contatti con i virus.
«La maggior parte dei pazienti sono sotto i sei anni e questo è importante perché ci permette di fare ipotesi come quella secondo cui sono bambini che non hanno ancora incontrato questo virus e quindi potrebbero essere alla loro prima esperienza di contatto», cosa che li rende più vulnerabili. Inoltre la tenera età dei pazienti, non sottoposti alla campagna vaccinale, aggiunge l'esperto confermando quanto detto anche da Galli, «esclude in maniera categorica che ci siano correlazioni con il vaccino per il Covid».