Due studi medici inglesi sono giunti alle medesime conclusioni fugando ogni dubbio sull'argomento.
LONDRA - La somministrazione di vitamina D a scopo preventivo non riduce il rischio di ammalarsi di Covid-19, né esercita, una volta contratta l'infezione, un effetto protettivo contro le forme gravi. È il responso che arriva da due studi pubblicati in contemporanea sul British Medical Journal.
«I metaboliti della vitamina D sono stati a lungo riconosciuti in grado di supportare la risposta immunitaria innate a virus e batteri respiratori e per regolare l'infiammazione», si legge in uno dei due studi, coordinato da ricercatori della Queen Mary University of London. Da queste conoscenze è derivato negli ultimi due anni il frequente uso della vitamina D, sia a scopo preventivo, sia a supporto delle terapie.
Chiariti i dubbi - Gli studi condotti finora, «hanno ottenuto risultati contrastanti», scrivono i ricercatori britannici che per fugare ogni dubbio hanno condotto una sperimentazione per valutare se l'uso della vitamina D fosse in grado di ridurre il rischio di Covid e altre malattie respiratorie. La sperimentazione ha coinvolto 3mila persone che hanno ricevuto un kit per misurare i livelli di vitamina D e due differenti dosaggi dell'integratore, da assumere per sei mesi solo se i valori riscontrati dal test fossero stati carenti. I risultati sono stati confrontati con un gruppo di controllo altrettanto numeroso.
I ricercatori non hanno riscontrato differenze significative tra i diversi gruppi nelle probabilità di contrarre un'infezione respiratoria o Covid. Nessuna particolare differenza è stata riscontrata nemmeno nelle probabilità di incorrere in forme gravi di Covid, né nella durata dell'infezione.
Altri studi - Risultati analoghi ha ottenuto il secondo studio, coordinato da ricercatori dell'ospedale universitario di Oslo. In tal caso i ricercatori hanno verificato l'efficacia preventiva dell'olio di fegato di merluzzo, che è ricco di vitamina D.
Un editoriale pubblicato a corredo dei due articoli, però, mette in guardia dal trarre conclusioni affrettate: «Non è detta l'ultima parola», scrive Peter Bergman del Karolinska Institutet di Stoccolma. I risultati nulli degli studi potrebbero essere dovuti all'elevato effetto protettivo delle vaccinazioni che potrebbero avere surclassato e mascherato quello della vitamina D.