Da quando il presidente Kaïs Saïed è salito al potere nel febbraio dell'anno scorso, il Paese ha subito una grave deriva autoritaria
TUNIS - Ritorno alla dittatura, contro-rivoluzione e fine della primavera araba. Sono questi i termini utilizzati per descrivere il clima politico instauratosi in Tunisia a partire dall'elezione del presidente Kaïs Saïed. Ma le cose stanno davvero così? Le derive autoritarie di Saïed - eletto nel febbraio dell'anno scorso - avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel tramonto della democrazia tunisina.
La riforma costituzionale - Il 25 luglio 2022 segna un punto di rottura. Il 95% dei 2.6 milioni di votanti - su un totale di 9.3 milioni aventi diritto di voto - si espressero a favore della nuova Costituzione voluta da Saïed. Il sostegno popolare al processo di ristrutturazione dell'economia e del sistema politico-istituzionale tunisino marcò la fine della Costituzione del 2014 che fu salutata e applaudita, a suo tempo, dalla comunità internazionale.
Le promesse tradite - Forte dello spirito che lo aveva portato al potere, il neo-presidente aveva giustificato il tradimento della Costituzione con la «necessità di correggere la traiettoria della Rivoluzione» che, a suo avviso, era stata deviata dai partiti politici. Ma una volta instaurato il sistema presidenziale, i progetti di «democrazia dal basso» - sui quali aveva basato la sua campagna politica - sono, come spesso accade, passati in secondo piano.
La Tunisia oggi - Per quanto non si possano attribuire le sorti di un Paese a un unico uomo, non si può neanche dire che Saïed abbia navigato la Tunisia in acque tranquille. Tra la grave crisi economica che ha travolto il Paese, la corruzione dilagante e i flussi migratori provenienti dall'Africa Subsahariana, la Tunisia rischia di trasformarsi nell'ennesimo stato fallito.