La morte del dissidente russo «segna la fine dell'era post-sovietica» e anticipa il quinto mandato per il leader russo.
MOSCA - Navalny è «martire autentico» e «vittima sacrificale», in un clima di terrore, quello instaurato da Putin, che ricorda per certi versi le persecuzioni e gli omicidi dello stalinismo. E non è in questo senso un caso che con la prossima rielezione di marzo, l'attuale leader del Cremlino raggiungerà la stessa longevità politica di Stalin.
È questo, in estrema sintesi il pensiero dell'esperto di cultura russa don Stefano Caprio che, sulla rivista Tempi, si sofferma sulla morte di Alexei Navalny. Un tragico epilogo che, secondo l’intellettuale e già cappellano presso l’Ambasciata Italiana a Mosca, segna «la fine del trentennio post-sovietico» e ci proietta verso la quinta rielezione di Putin alla presidenza del Paese.
E non è un caso che l'inquietante dipartita di Navalny giunga alla vigilia dell'appuntamento elettorale del prossimo mese di marzo, soprattutto se si considera che il primo tentativo di avvelenamento del dissidente risale al 2020. Proprio quando lo zar celebrava il 75esimo anniversario della Vittoria sui nazisti, oltre che la contemporanea riforma costituzionale. Quella che concedeva a Putin, aggirando il limite dei due mandati da capo dello Stato, la possibilità di candidarsi ancora nel 2024 e nel 2030, con la chance di restare al potere fino al 2036.
Non pare dunque eccessivo al teologo accostare la morte del dissidente a un sacrificio di sangue «sull'altare della quinta rielezione di Putin». Che però altro non fa che "mitizzare" l'immagine di Navalny, tornato in patria dopo il primo avvelenamento, per continuare a guidare (come fatto dal 2011 al 2024) la protesta contro la corruzione, costruita intorno al regime oligarchico putiniano - come fatto nel video sulla mega villa sul Mar Nero dell'ex Kgb - ma che così facendo si è di fatto consegnato al nemico, nonché al suo tragico destino.
Sacrificio che, fin da subito, è sembrato non essere caduto nel vuoto. A cominciare dalla sua eredità politica, raccolta dalla moglie del blogger, Yulia Navalnaya, che ha promesso di continuare nella missione del marito di riaffermare libertà e giustizia, oltre che di scoprire «chi e in che modo ha eseguito il crimine». Perché il dissenso possa tornare a essere possibile, anche in Russia.