Le organizzazioni criminali avevano approfittato dell'uscita dal carcere dei boss
PALERMO - Boss di Cosa nostra che escono dal carcere e riprendono in mano il "controllo" delle estorsioni a Palermo, anche se questa volta gli imprenditori si ribellano e denunciano. Clan che continuano a rigenerarsi a Catania con "costellazioni" di gruppi alleati nel fiorente mercato della droga, ma che viene costantemente disarticolato da indagini e blitz.
Sono gli ultimi due colpi inferti alla mafia in Sicilia da operazioni delle forze dell'ordine delle Procure distrettuali delle due città. A Palermo i carabinieri, con l'operazione Teneo, hanno arrestato dieci persone, dando un nuovo colpo al mandamento mafioso di San Lorenzo e Tommaso Natale che si era "riorganizzato" dopo le scarcerazioni di boss di spessore come Giulio Caporrimo e Nunzio Serio. Una leadership confermata dalle intercettazioni: i due erano venerati e ossequiati per la capacità di comando, il carisma e l'influenza nelle dinamiche mafiose («l'hai sentita la buona notizia? È uscito Giulio, è uscito...»").
Le telecamere e le microspie dei carabinieri sono state le "ombre" nascoste e inseparabili di Caporrimo: militari dell'Arma lo hanno visto e ascoltato mentre faceva incontri su un gommone in mare a Palermo o mentre, a conclusione di un incontro su una "messa a posto" di una ditta che aveva appena avviato dei lavori, dava un bacio in bocca a uno dei suoi collaboratori più stretti, nel rispetto di un antico rituale mafioso radicato in Cosa nostra. Ma due imprenditori edili hanno avuto la forza di ribellarsi e di denunciare le minacce subìte per "tangenti" e "posti di lavoro". E i carabinieri, coordinati dalla Divisione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo, hanno ricostruito i tasselli di sette estorsioni, tra tentate e consumate, che hanno riportato nuovamente in carcere il boss e nove suoi accoliti.
Sono 52, invece, i destinatari di un'ordinanza di custodia cautelare eseguita dalla squadra mobile della Questura di Catania e del Servizio centrale operativo della polizia contro la "costellazione" dei gruppi alleati e organici al potente clan mafioso Cappello-Bonaccorsi. Un'indagine, coordinata dalla locale Dda, che ha portato all'arresto anche di mogli e figli dei boss di un cosca che, ha ricordato il procuratore Carmelo Zuccaro, «è una delle più pericolose e aggressive del territorio», ma che, con l'operazione Camaleonte, «ha subito un fortissimo colpo». Ai vertici lo storico boss ergastolano Salvatore Cappello, detenuto al 41 bis, che dirige una serie di "galassie" associate specializzate soprattutto nel fiorente traffico di droga, che ha un volume d'affari stimato in circa 1,5 milioni di euro al mese.
L'organizzazione era capace di far arrivare cospicui quantitativi di droga - hashish e marijuana - anche a Malta ed aveva in progetto di approvvigionarla due volte al mese. Fondamentale nell'organizzazione era il ruolo delle donne, molte delle quali destinatarie dei provvedimenti restrittivi, che non soltanto facevano le veci degli uomini quando questi ultimi erano in carcere, ma avevano la contabilità del traffico di droga e disponevano il "recupero crediti".
Ma l'organizzazione criminale poteva contare anche su tanti ragazzi, molti giovani che "non conosceva nessuno" e che si mettevano a disposizione. Un allarme ribadito dal procuratore Zuccaro: «Se diamo poca possibilità di trovare lavoro e risorse economiche lecitamente - ha spiegato - il rischio che certe attrazioni funzionino maggiormente c'è. L'impegno dello Stato dev'essere quello. È ovvio, la fase repressiva è una fase fondamentale, ma non è la più importante. Bisogna offrire lavoro, dare tante possibilità alla gente».