Gli inquirenti italiani hanno identificato tre "disturbatori" che agivano su tutto il territorio nazionale
I tre - due 19enni e un 17enne - hanno già riconosciuto le proprie responsabilità. Sono accusati di interruzione di pubblico servizio e di accesso abusivo a un sistema informatico.
GENOVA - «Passatemi il link ed entro nelle vostre video lezioni». Le parole sono quelle degli stessi autori, un gruppo di giovani che ha messo in piedi una struttura per poter disturbare e interrompere le lezioni scolastiche, svolte a distanza a causa della pandemia, su diverse piattaforme informatiche in tutto il territorio italiano.
Le indagini per ricostruire la struttura del gruppo hanno richiesto diversi mesi, ma alla fine la Polizia Postale di Genova ha identificato tre giovani - due di 19 anni e uno, ancora minorenne, di 17 -, residenti nelle province di Milano e Messina, quali organizzatori del sistema. I tre, che hanno subito ammesso le proprie responsabilità, dovranno ora rispondere dei reati di interruzione di pubblico servizio e di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.
Le prime volte durante il primo lockdown
Numerose azioni di disturbo erano già state segnalate e denunciate dai dirigenti scolastici nel corso del primo lockdown dello scorso anno. Gli attacchi avvenivano spesso in modo programmato, ad esempio in occasione di un'interrogazione. I disturbatori spuntavano all'improvviso in videoconferenza e i docenti erano così costretti a sospendere le lezioni.
Per compiere i propri raid di disturbo, il gruppo faceva ricorso a computer, tablet e smartphone. Tutti dispositivi che le forze dell'ordine hanno nel frattempo confiscato e che saranno ora analizzati dagli inquirenti. Al momento sono stati individuati due gruppi principali, ma la cerchia sembra destinata ad allargarsi.
«La Polizia non ha tempo da perdere per cercarci»
L'azione di disturbo veniva gestita attraverso alcuni gruppi creati appositamente su Telegram e Instagram, mentre a condividere i codici per accedere alle lezioni in video erano spesso gli stessi studenti. «Ho un'interrogazione venerdì, ti mando il link così fai saltare tutto». «Se vuoi che entri durante la lezione mi devi pagare». Così si mettevano d'accordo, sentendosi - come sottolineato dagli inquirenti - «al sicuro per via della percezione di anonimato» che i social network sembrano poter garantire. E questo senso di sicurezza traspare anche da alcuni commenti che gli stessi ragazzi postavano riguardo all'operato delle forze dell'ordine. Perché tanto, citando testualmente, «la Polizia Postale non ha tempo da perdere nel cercare di trovarci» e poi «Telegram è crittografato e non rilascia i dati» alle autorità.