La piccola sarebbe stata violentata dal 39enne sulla strada di casa. Ma l'iter giudiziario delle vittime boliviane è costellato di ostacoli.
LA PAZ - Una protesta in risposta a un arresto per stupro. Nel comune boliviano di Potosì il corpo docenti e il personale scolastico si è organizzato al fine di fare pressioni sulle autorità che hanno posto in stato di fermo il preside di una scuola, accusato di violenza sessuale ai danni di una bambina di dieci anni. La federazione regionale lavoratori dell'educazione urbana accusa in particolare la vittima di aver sedotto l'uomo, un 39enne, e di essere quindi responsabile del proprio male.
Stando all'accusa, il presunto aggressore avrebbe perseguitato e molestato per settimane la piccola, fino a intercettarla sulla via verso casa per farla salire a bordo della sua macchina e quindi abusare di lei. La bambina, a seguito della violenza, è rimasta incinta. In Bolivia l'aborto è illegale, a meno che la gravidanza non sia il risultato di una violenza o che la vita della gestante sia in pericolo. Tuttavia, come spiegato in un rapporto di Human Rights Watch, le donne rischiano di scontrarsi con maltrattamenti, anche da parte del personale medico. Stando a uno studio del 2020, inoltre, il 90% degli operatori sanitari che esercitavano in 44 strutture non erano a conoscenza delle circostanze in cui l'aborto in Bolivia è legale.
L'ufficio dell'ombudsman boliviano ha condannato la protesta in una nota pubblicata alcuni giorni fa, descrivendola come «allarmante». Ed esorta la autorità «ad adottare misure adeguate contro quelle persone che, con manifestazioni a favore del presunto aggressore, hanno cercato di ostacolare la giustizia. Chiediamo un’indagine esaustiva e trasparente per identificare la persona o le persone responsabili e garantire che l’incidente non rimanga impunito. (...) La sicurezza e il benessere dei bambini e degli adolescenti è un imperativo legale ed etico».
Non un caso una tantum - La storia della Bolivia è costellata da numerosi casi di violenze sessuali ai danni di donne e bambine, che nella maggior parte dei casi non vengono denunciate in quanto, seppur questo reato è punibile con una pena detentiva che può andare dai 15 ai 25 anni, le vittime sono spesso soggette ad accuse, quali, per esempio, l'aver provocato il proprio aggressore. Stando all'organizzazione Equality Now, in Bolivia una ragazza su tre viene sessualmente abusata prima dei 18 anni. Ma nonostante questo dato, il Paese è quello con meno denunce a riguardo in America Latina. Solo nella prima metà del 2015, sono stati documentati 569 casi, il 94% dei quali riguardava bambine e adolescenti.
Sempre l'organizzazione per la difesa dei diritti delle donne lamenta che un'ulteriore barriera alle denunce sia il fatto di dover dimostrare obbligatoriamente prove di violenza fisica e psicologica o di intimidazione. Non esiste un testo di legge, invece, basato sul consenso. Recentemente la Corte interamericana dei Diritti umani ha ritenuto «responsabile a livello internazionale» il governo boliviano per aver violato i diritti di un'adolescente che per anni era stata violentata da un parente.
Il caso dei Mennoniti - A livello internazionale aveva avuto particolare eco il caso della comunità religiosa boliviana dei Mennoniti. Tra il 2005 e il 2009 almeno otto uomini della chiesa anabattista avevano abusato di 151 donne della comunità, stordendo durante le notti intere famiglie con del gas sonnifero veterinario. La vittima più giovane aveva al tempo tre anni e la più anziana 65. Le vittime si svegliavano spesso con i vestiti strappati, dolori tra le gambe e le coperte macchiate di sangue. Ma non riuscivano a capire cosa fosse accaduto salvo poi essere colpevolizzate. Le violenze erano andate avanti finché una persona appartenente alla comunità non colse in flagrante gli aggressori e denunciò l'accaduto. Non si esclude che tra le vittime ci siano stati anche degli uomini.