Molte le azioni intraprese dal governo di Benjamin Netanyahu in reazione alla richiesta di cessate il fuoco delle Nazioni Unite
TEL-AVIV - Uno schiaffo per l'amministrazione del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ieri il mondo intero, rappresentato, a questo giro, da una quindicina di Paesi membri (permanenti e non) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione per l'immediato e prolungato cessate il fuoco a Gaza e la liberazione di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas.
Il malumore di Tel-Aviv non si è fatto attendere. La prima reazione è stata quella di annullare la partenza di una delegazione Israeliana a Washington. «Siamo molto delusi», aveva commentato ieri la controparte statunitense, che pur non avendo votato a favore della risoluzione, si era astenuta, rinunciando, di fatto, alla possibilità di mettere un veto e permettendo, così, alla risoluzione di essere approvata.
Al di là del simbolismo, a Washington, si sono comunque incontrati i vertici della Difesa israeliana e americana. Accolto dal segretario di Stato Anthony Blinken e dal consigliere per la sicurezza Jake Sullivan, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato: «Non abbiamo il diritto morale di fermare la guerra a Gaza fino al ritorno di tutti i nostri ostaggi a casa», alludendo, immancabilmente, all'impossibilità di modificare la strategia militare israeliana nella Striscia.
Da ricordare il fatto che il voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non avrebbe, in nessun caso, cambiato i piani di Tel-Aviv nel sferrare un ultimo e decisivo attacco a quel che rimaneva della controffensiva palestinese a Rafah. «Entreremo con o senza gli Stati Uniti», aveva dichiarato Gallant alla fine della settimana scorsa.
Pesantemente criticata, la decisione degli Stati Uniti è stata giudicata dallo stesso Netanyahu «un passo indietro» rispetto a quanto pattuito in precedenza, ovvero l'annientamento della leadership politica e militare di Hamas, costi quel che costi.
L'ultima delle reazioni di Israele che, sconfitto, almeno per quello che riguarda la percezione del conflitto, è stato il ritiro della propria delegazione dai negoziati di Doha. Una mossa che ha lasciato i mediatori, Qatar ed Egitto, sicuramente non increduli, ma di certo amareggiati. La controparte palestinese, dal canto suo, non ha ritirato le proprie richieste dal tavolo delle trattative, inclusa la partenza delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza.