I due leader si vedranno di persona nei prossimi giorni per discutere delle divergenze rimaste irrisolte
BRUXELLES - La nuova telefonata tra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Boris Johnson, non sblocca i negoziati sulle relazioni post-Brexit.
E i due decidono di scendere direttamente in campo, mettendosi alla guida delle trattative e dandosi un appuntamento di persona a Bruxelles. Un ultimo tentativo per scongiurare il no deal e concedere ancora ossigeno ai colloqui, mentre a pochi rintocchi dalla mezzanotte anche i tempi supplementari stanno per scadere.
Al termine di una chiamata durata poco più di un'ora e mezzo, messa in pausa e mai ripresa, i due leader hanno pubblicato uno scarno comunicato congiunto, utile a guadagnare altro tempo.
«Abbiamo fatto il punto sui negoziati come deciso sabato, e abbiamo concordato che non ci sono le condizioni per finalizzare un accordo a causa delle distanze significative sui tre punti critici: level playing field, pesca, e governance - hanno scritto -. Abbiamo chiesto ai capo negoziatori di preparare una panoramica sulle divergenze che restano da discutere di persona, a Bruxelles nei prossimi giorni».
La situazione insomma resta tesa ma ancora aperta tra Bruxelles e Londra, con l'accordo ancora a portata di mano, ma non abbastanza vicino da poterlo afferrare.
Nelle cancellerie intanto i sentimenti sono misti, tra l'apprensione per un possibile fiasco finale, e il timore di strappare un accordo incapace di tutelare appieno gli interessi di tutti e 27, come manifestato da Parigi nei giorni scorsi, e ribadito dal ministro degli Esteri olandese Stef Blok, che ha sollecitato a lavorare "per tutto il tempo necessario" e "non lasciarsi trascinare in un'intesa frettolosa".
Intanto l'annuncio del governo britannico, che si è detto disponibile a rimuovere dall'Internal market bill la clausola tanto contestata dall'Ue, che rivendica al Regno il potere di violare il diritto internazionale e modificare unilateralmente alcuni punti dell'intesa di divorzio con l'Ue (in particolare sui controlli ai confini irlandesi), è stato interpretato come un ramoscello di ulivo di Johnson alla Ue, un modo per sminare il terreno. Anche a questo è servito l'incontro tra il vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, e il ministro britannico Michael Gove, a Bruxelles.
Ma il sentiero resta stretto e ogni passo richiede valutazioni attente, per evitare rovinose, irrimediabili cadute e possibili spaccature interne tra i 27. Se lo sono ripetuto i leader di Commissione e Consiglio, Michel e von der Leyen, nella videoconferenza con Angela Merkel ed Emmanuel Macron, quando è circolata anche l'ipotesi di stralciare la parte riguardante la pesca dalla trattativa generale. Per niente percorribile per il capo dell'Eliseo.
Il dossier è stato finora in mano ai team di Michel Barnier, apparso particolarmente "cupo" dopo il round negoziale di lunedì, e dell'impassibile David Frost, caparbiamente in cerca della via maestra per coprire l'ultimo miglio verso l'accordo.
Un'intesa che se non sarà in grado di spazzare via tutti gli effetti negativi del divorzio, dovrebbe comunque essere in grado di mitigare le ripercussioni, evitando il caos commerciale, tanto allarmante per il Regno quanto preoccupante per i 27, data anche la combinazione con la crisi Covid.
I nodi rimasti da sciogliere - a meno di un mese dalla fine del periodo di transizione del 31 dicembre - sono sostanzialmente la pesca, questione di nicchia in termini di valore economico generale ma di grande importanza per Paesi costieri come Francia o Danimarca; il cosiddetto level playing field, ossia l'allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori per evitare una futura concorrenza sleale.
Ma che il governo di Boris Johnson non vuole sia trasformato in una sudditanza a tempo indeterminato alla legislazione Ue in barba alla ritrovata "sovranità". Più appianato, ma pur sempre annoverato tra i punti spinosi, quello della governance sui contenziosi futuri, da affidare a un qualche organismo terzo.
Di fatto si tratta del 5% scarso d'un testo che per il restante 95% pare cosa conclusa. Ma più che sufficiente a far saltare il tavolo, date le questioni di principio, d'interesse, e d'immagine in gioco. Ora la palla passa direttamente alla von der Leyen e a Johnson.