Chiedendo un'esenzione dall'embargo al gas russo, il premier ungherese ha ricordato la Grande Ungheria
Non è la prima volta che Budapest e Bruxelles si trovano su trincee separate: il filo si sta spezzando?
BRUXELLES / BUDAPEST - Da parecchio a tempo a questa parte, l'Unione europea e l'Ungheria di Viktor Orbán si trovano ai ferri corti, con le loro posizioni che, in modo ricorrente e su diverse tematiche geopolitiche, si trovano ai poli opposti, cozzando tra due pensieri che non trovano alcun terreno comune, e che non smettono d'infiammare i dibattiti della Commissione.
È già accaduto con i diritti a favore degli omosessuali, con le relazioni con la Cina e anche con la politica d'asilo. Ora, la stessa trama si sta srotolando con l'invasione della Russia in Ucraina. L'Ungheria continua infatti a ritardare la decisione di un embargo sul gas russo, usando argomenti e paragoni («un embargo ora sarebbe come gettare una bomba nucleare sull'economia ungherese») che rigettano la proposta che, per una volta, è infine quasi unanime (dopo i tentennamenti di alcuni Stati, tra cui la Germania).
«Dichiarazione inaccettabile»
L'ultimo scivolone (o provocazione) di Orbán è risuonata ben forte all'interno dei palazzi governativi di Zagabria. Chiedendo un'esenzione dall'embargo, il premier ungherese ha detto che è facile prendere tali decisioni per i «Paesi che hanno uno sbocco sul mare», poiché «possono facilmente importare il petrolio». Nel discorso, ha poi lanciato una frase che ha fatto infuriare la Croazia: «Se all'Ungheria non fosse stato tolto lo sbocco al mare anche noi oggi avremmo un porto», ha detto, alludendo al fatto che Rijeka fece parte del regno ungherese fino al 1918. Ma che ora fa parte della Croazia, indipendente e anch'essa membro dell'Ue.
In risposta, la Croazia ha consegnato oggi una nota di protesta all'Ungheria per delle dichiarazioni che sono state viste come «pretese territoriali» verso la costa croata. Il Ministero degli Esteri ha quindi chiesto spiegazioni a Budapest: «l'integrità del territorio croato è indiscutibile e non sono accettabili pretese territoriali, neanche quelle espresse in senso retorico».
Seppur Tamas Menczer, del Ministero degli Esteri ungherese, abbia provato a calmare le acque («il Primo ministro ha solo menzionato un fatto storico»), le parole di Orbán non sono piaciute affatto, e si può riflettere su cosa passi per la testa del premier. È una dichiarazione sfuggita in un discorso populista, o sulle sponde del Danubio c'è davvero nostalgia di quella Grande Ungheria, che la guerra di Putin ha riportato violentemente nei pensieri, rilanciando nel 2022 la questione dell'espansione territoriale? D'altronde, due anni fa Orbán aveva pubblicato su Facebook una mappa del grande Regno d'Ungheria, attirando le occhiatacce di Croazia e Romania, e il suo portavoce Zoltán Kovács ce l'ha persino appesa nel suo ufficio.
Un filo sottile, che si va spezzando
Secondo un'analisi di Politico, è ora che Bruxelles decida di usare il pugno duro contro Orbán, anche perché questa volta la magnitudo di quanto sta accadendo (una guerra che sconvolge l'ordine politico europeo) è molto più ampia, e l'invasione minaccia anche la sicurezza dell'Europa. Inoltre, rispetto al passato, questa volta l'Ungheria è realmente da sola. Il più volte alleato polacco è infatti assolutamente allineato con Bruxelles, e Orbán si è mostrato disposto a sacrificare la lunga relazione con Varsavia per non andare contro a Mosca.
In ogni caso, se la divisione continua a persistere ed i toni rimangono gli stessi, la soluzione potrebbe essere solo una: che le due parti vadano per la loro strada. D'altronde, la Brexit è sempre presente sullo sfondo di un Unione che si trova più unita che mai (eccetto Budapest). Vista la ritrovata coesione, Bruxelles potrebbe quindi decidere di smettere di accettare i modi ungheresi, con Orbán che sta rischiando di spezzare il filo, sempre più sottile, che lo tiene legato all'Ue.