Il due ottobre il Brasile dovrà decidere il prossimo presidente della Repubblica. Lula e Bolsonaro spaccano il Paese.
BRASILIA - Il Brasile si infiamma in attesa delle prossime elezioni presidenziali del 2 ottobre. «Uno scontro tra titani», è la definizione spesso utilizzata per descrivere il panorama politico del Paese. Ormai è chiaro, la corsa alla presidenza è un affare a due. Lula, ex presidente e leader del Partito dei Lavoratori, sembra aver creato un abisso dietro di sé incolmabile per Jair Bolsonaro. I sondaggi però parlano di una lieve ripresa dell’attuale presidente di estrema destra, ma la strada resta tutta in salita. Le settimane che hanno accompagnato i brasiliani al voto sono state caratterizzate da violenza, scandali e toni accesi. «Non è la prima volta che il Paese conosce una certa violenza politica. Posso però affermare che la democrazia in Brasile non è a rischio, le istituzioni sono solide», spiega Silvio Cascione, direttore degli studi di Eurasia Group in Brasile ed esperto di politica del Paese.
Il Brasile è spaccato in due, come si spiega questa polarizzazione dell’elettorato?
«Non è un fenomeno unicamente brasiliano. In Sud America questa tendenza si può notare in vari Paesi. Da anni in Brasile la fiducia verso la classe politica è crollata. La classe media, che all’inizio degli anni 2000 ha vissuto il boom economico, è diventata più esigente. Le aspettative si sono di conseguenza alzate. La popolazione si aspetta un miglioramento delle condizioni di vita, ma spesso rimane delusa e la colpa di questo fallimento ricade sulla élite politica. Questa crescente insoddisfazione ha confluito il consenso popolare nei leader che rappresentavano questi sentimenti spaccando il Paese in due.
Lula e Bolsonaro sono emersi da questo clima di sfiducia e di rassegnazione, come hanno conquistato il consenso della gente?
«In Brasile sono emersi due leader che rappresentano questo sentimento anti-establishment. Bolsonaro, il portavoce dell’ultra nazionalismo brasiliano, esprime la paura di una sinistra forte e difende la tradizione della Chiesa evangelica. Anche Lula rappresenta il sentimento d'insoddisfazione verso la politica, ma in modo diverso. Conosce i problemi della gente, lui stesso è cresciuto in condizioni di povertà: “Combatto contro l’élite per portare più diritti ai poveri”, è il suo slogan. Questo ambiente politico esacerba la divisione interna e aumenta il rischio di violenze».
Durante i quattro anni alla testa del Paese, Bolsonaro è stato al centro di scandali, attacchi e critiche. Eppure è ancora molto popolare.
«Bolsonaro rappresenta il sentimento nazionalista che è ancora molto forte in Brasile. In altri Paesi del sud America i leader che erano collegati con l'élite politica hanno fallito malgrado una buona gestione della pandemia. Bolsonaro sebbene abbia sbagliato tutto durante la crisi sanitaria è rimasto autentico. Questa è la ragione per cui è ancora così alto nei sondaggi».
Lula come ha riguadagnato la fiducia dei suoi elettori dopo l’arresto e il conseguente rilascio?
«Le elezioni giungono in un momento molto particolare. Il Covid, l’inflazione, la recessione hanno traumatizzato gli elettori. In passato gli scandali di corruzione incidevano molto sulle elezioni. Ora la questione principale è l’economia. La maggior parte degli elettori pensa che Lula sia corrotto, ma quando lui era al governo le condizioni di vita erano migliori. Vedono in lui il candidato capace di riportare una certa stabilità economica. Inoltre, attorno agli scandali di corruzione, c’è stata molta confusione. Lula è stato arrestato e condannato, poi invece liberato e infine scagionato. I cittadini hanno perso così la fiducia nei confronti delle istituzioni. In questo momento la corruzione scivola in secondo piano, quello che conta è il benessere quotidiano».
I sondaggi davano Bolsonaro per spacciato, adesso sembra risalire parzialmente la china, come mai?
«Questo recupero è dovuto al fatto che è iniziata la campagna politica e soprattutto perché l’economia ha registrato una lieve ripresa inaspettata. Questo miglioramento si traduce in consensi per il presidente. Ma a mio avviso non basta per impensierire la vittoria di Lula, la distanza è troppo ampia. Bolsonaro resta comunque un candidato competitivo».
Trump e Bolsonaro sono stati spesso paragonati, pensi che ci sia il rischio di un attacco simile a quello avvenuto a Capitol Hill anche a Brasilia?
«Potrebbe capitare certo. La violenza politica è diversa dal crollo delle istituzioni democratiche. Basta un gruppo di persone estremiste per creare confusione e generare violenza. È importante però ribadire che le istituzioni politiche in Brasile, malgrado non siano perfette, sono solide ed equilibrate. Questo significa che chi vincerà le elezioni, a gennaio sarà il presidente del Brasile. I progressi sono lenti e le riforme sempre graduali, ma questo permette una certa protezione alla democrazia. Le capacità di intervento del presidente nell’economia sono limitate e controllate. Ovviamente non è mai positivo per un governo quando le persone non si sentono rappresentate dal sistema politico. È un problema cronico per tutte le democrazie che a lungo periodo può minare la qualità del governo».