«Un orrore che deve essere da monito» dice la leader di Fdi in occasione della Festa delle Capanne
ROMA - Quest'anno la Festa delle Capanne, una delle festività più importanti per gli ebrei, non si concluderà con la tradizionale passeggiata nel Ghetto di Roma, perché coincide con l'anniversario del rastrellamento del 16 ottobre 1943, quando 689 donne, 363 uomini e 207 bambini furono trascinati all'alba fuori dalle loro case dalle SS.
Anche quel giorno era festa per Sukkot e i nazifascisti erano certi di trovare gli ebrei a riposare, perché in quei giorni non si può lavorare. Per la prima volta quest'anno l'anniversario della razzia vede un premier in pectore erede della destra italiana, Giorgia Meloni, che con forza condanna «La vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista: donne, uomini e bambini furono strappati dalla vita, casa per casa».
«Un orrore che deve essere da monito - dice la leader di Fdi sapendo che il mondo guarda alle sue parole - perché certe tragedie non accadano più. Una memoria che sappiamo essere di tutti gli italiani, che serve a costruire gli anticorpi contro l'indifferenza e l'odio. Una memoria per continuare a combattere, in ogni sua forma, l'antisemitismo».
Parole nette le sue, come quelle che il leader della destra italiana Gianfranco Fini pronunciò ben prima della sua 'enfant prodige', condannando il fascismo «male assoluto» nello storico viaggio in Israele ed avvicinandosi con rispetto alla comunità ebraica. E Fini, l'erede di Almirante, da presidente della Camera, passeggiò al Ghetto con la kippah insieme agli ebrei romani, per i 65 anni dal rastrellamento.
Questa mattina Giorgia Meloni ha chiamato al telefono la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, per esprimerle vicinanza e sostegno, ricordando nei dettagli quella giornata «tragica, buia e insanabile». «Pochi minuti dopo le 5.00»,- rivive con precisione e partecipazione quei momenti la premier in pectore - 1259 persone «furono deportate e di loro solo quindici uomini e una donna fecero ritorno. Nessuno dei bambini».
Lei - che già ieri, di fronte alle minacce con la stella a 5 punte ad Ignazio La Russa invocava la fine della campagna d'odio anche delle sinistre - oggi invoca una memoria condivisa contro «l'indifferenza e l'odio». «Una memoria per continuare a combattere, in ogni sua forma, l'antisemitismo». Con lei c'è l'intero partito.
Mentre nuove minacce di morte - stavolta con la A cerchiata anarchica -arrivano da Roma al neo presidente del Senato Ignazio La Russa, lui «oggi come sempre» esprime la sua vicinanza alla comunità ebraica e chiama il presidente milanese Meghnagi. Così come fa il neo presidente della Camera Lorenzo Fontana: è «un dovere delle istituzioni» non dimenticare. Di «barbarie nazifascista» parla Fabio Rampelli e Francesco Lollobrigida chiede una «memoria strumento e simbolo di unità dei cittadini e di tutte le forze politiche democratiche».
«È positivo che anche forze che di solito erano state reticenti si pronuncino su questi fatti», è la chiosa al vetriolo del Pd Andrea Orlando. Ma il 16 ottobre di un anno fa la Meloni - con Rampelli, Lollobrigida, Fazzolari - voleva deporre una corona al Ghetto e anche quel giorno sentì la Dureghello. Poi rinunciò: le elezioni amministrative erano troppo vicine e parte della comunità ebraica sembrò non gradire.
A lei si allineano intanto gli alleati Salvini e Berlusconi. «L'antisemitismo non dev'essere mai sottovalutato o peggio tollerato», chiosa il leader della Lega. «Il ricordo di oggi sia un monito per le nuove generazioni, affinché condannino con forza il razzismo e l'antisemitismo, atti criminali» rincara l'ex premier. Ricordano il raid nazista il segretario Pd Enrico Letta e molti dem, il leader di Azione Carlo Calenda e quello dei M5s Giuseppe Conte che chiede di «non abbassare la guardia contro un revanscismo culturale che ammicca a vecchie nostalgie».
Va oltre Angelo Bonelli, AVS: «per essere coerente, la premier in pectore deve togliere dal simbolo di Fdi la fiamma tricolore, ricordo di quella che arde sulla tomba di Mussolini e simbolo del fascismo italiano». La stessa richiesta, inascoltata, della senatrice a vita Liliana Segre, nei giorni della ascesa di Giorgia Meloni.