La media mondiale è sui 4000 dollari, mentre la criptovaluta viene attualmente scambiata a 3600 dollari
NEW YORK - Con il crollo del prezzo degli ultimi mesi produrre Bitcoin è diventato più costoso che rivenderli per tutti i trader del mondo tranne quelli cinesi, che possono contare su fonti di energia elettrica a basso costo. Lo affermano gli analisti di JPMorgan Chase in un rapporto.
Il fattore principale che determina la spesa per "coniare" un bitcoin è appunto la bolletta elettrica, perché la tecnologia richiede una grande capacità di calcolo.
Nell'ultimo trimestre del 2018, scrivono gli esperti, la media mondiale del costo per singolo Bitcoin si è attestata sui 4000 dollari, mentre attualmente la criptovaluta è scambiata intorno ai 3600 dollari.
«I produttori cinesi invece - spiega Natasha Kaneva alla Bloomberg - possono spendere molto meno, la stima è circa 2400 dollari per Bitcoin, facendo accordi diretti con i produttori di energia che cercano di vendere l'elettricità in eccesso, come i produttori di alluminio».
Se il margine rimarrà ancora negativo per molto, afferma il rapporto, i produttori con i costi più alti come quelli in Stati Uniti, Repubblica Ceca o Islanda, che al momento restano i più attivi, verranno estromessi dal mercato.
Che il fabbisogno di energia del sistema Bitcoin sia vertiginoso è noto: l'economista olandese Alex de Vries, che lavora la società di consulenza PricewaterhouseCoopers (PwC) e che ha pubblicato un articolo scientifico sul tema, in un'intervista del maggio scorso aveva spiegato che il Bitcoin consuma più energia dell'insieme dell'economia svizzera.