Uno studio svolto da von Rundstedt e HR Today ha analizzato il mercato del lavoro elvetico
In particolare, sono stati analizzati i licenziamenti: tra quelli collettivi, ci sono «diversi cattivi esempi» di condotta
ZURIGO - Il forte rapporto di fiducia tra datori di lavoro e dipendenti in Svizzera «si sta sgretolando». Anche poiché sono in aumento le riserve dei datori di lavoro nei confronti delle nuove generazioni, «ritenute troppo esigenti». Inoltre, «licenziare un dipendente poco prima della pensione non è più considerato un tabù».
È quanto è emerso da un'ampia indagine sul mercato del lavoro svizzero, svolta consultando 950 aziende tra aprile e agosto di quest'anno da von Rundstedt, in collaborazione con HR Today.
I risultati dell'analisi hanno mostrato che «la maggioranza delle aziende sta scoprendo che i propri dipendenti si fidano sempre meno». D'altra parte, secondo le aziende, «sempre più spesso i nuovi lavoratori hanno una forte fiducia in sé stessi e un livello di aspettative molto elevato, a fronte di una disponibilità e una capacità lavorativa relativamente modesta» e «questi aspetti mettono a dura prova le relazioni con i datori di lavoro».
L'indagine si è poi focalizzata sul tema del licenziamento, toccando i profili delle persone licenziate, le ragioni, e la professionalità e il comportamento delle aziende.
Motivo principale? «Riorganizzazione»
Anche negli anni caratterizzati dalla pandemia di coronavirus, la maggior parte dei licenziamenti «è riconducibile a interventi di riorganizzazione (44%) e non a ridimensionamenti (14%)». Secondo l'analisi, «l'ondata di licenziamenti da Covid non ha portato a tagli indiscriminati di posti di lavoro». I licenziamenti individuali derivano invece soprattutto «da prestazioni insoddisfacenti o comportamenti indesiderati, piuttosto che da competenze insufficienti».
Inoltre, «sempre più spesso i dipendenti over 60 sono licenziati poco prima del pensionamento (38%)». Una quota che è addirittura al 47% in Romandia, e al 23% in Ticino. In questi casi, però, circa un terzo delle aziende prevede il prepensionamento. «Contrariamente a quanto crede l’opinione pubblica, secondo il 66% degli intervistati, i dipendenti con più di 50 anni non sono svantaggiati nelle scelte di licenziamento. Vi è parità di trattamento», secondo gli autori dello studio.
Dal sondaggio è poi emerso che le aziende svizzere sono generalmente generose quando si tratta di sostenere le persone licenziate. Tra le misure più utilizzate, il congedo anticipato (79%), il sostegno al ricollocamento (63%) e altre indennità finanziarie (48%). Più della metà degli intervistati, inoltre, ritiene che la propria azienda offra buoni servizi di supporto.
Licenziamenti...professionali?
I licenziamenti in Svizzera sono di buona qualità? Beh, non sempre.
In primis, bisogna distinguere tra licenziamenti individuali e di massa. Nel primo caso, il termine del rapporto di lavoro è solitamente «professionale e di buona qualità», con molte aziende che «si comportano in modo esemplare: comunicazione, trasparenza e coerenza nei rapporti con le persone sono ben gestiti».
Per quel che concerne i licenziamenti collettivi, invece, «dipende fortemente dall'azienda». Ci sono infatti «numerosi buoni esempi e numerosi cattivi esempi». Di conseguenza, le opinioni degli intervistati differiscono ampiamente: «nella Svizzera tedesca, la pratica è percepita molto più positivamente che nella Svizzera romanda o in Ticino».
Anche in tempi di lavoro da casa, comunque, solo una piccola minoranza di imprese (12%) ricorre regolarmente a una forma virtuale di licenziamento. «Non è stata confermata l’accusa che le aziende stiano giustificando i licenziamenti con il pretesto del Covid», viene infine chiarito, «solo l'11% delle aziende è sospettata di questa pratica».
Referenze, tutto da rifare
Circa il 50% dei responsabili delle risorse umane intervistati non è inoltre soddisfatto della normativa sulle referenze. Di conseguenza, molte aziende (46%) non attribuiscono grande attenzione alla qualità e alla personalizzazione delle referenze lavorative, con molti manager (63%) che non accettano - o accettano con riluttanza - di dare referenze.