Sei dirigenti dei 10 principali istituti di credito confidano i timori dei clienti asiatici e si dicono scioccati dalle decisioni di Berna.
ZURIGO - Solo due anni fa, in pochi avrebbero immaginato che la neutrale Svizzera avrebbe aderito a delle sanzioni internazionali. Ebbene, con lo scoppio del conflitto in Ucraina, è accaduto. La Russia è di fatto diventata per banche, assicurazioni e operatori commerciali un terreno minato. Nessuno ne parla volentieri, istituzioni comprese.
Con la conseguenza che la credibilità della neutralità rossocrociata, se non messa in discussione, è stata attentatamene soppesata da Berna, in base alle «violazioni delle norme fondamentali del diritto intenzionale».
Lo scenario internazionale preoccupa le banche - E in un quadro internazionale dove ora è Pechino ad avvicinarsi sempre più a Mosca, allontanandosi nello stesso tempo da Washington, esplicite in questo senso le dichiarazioni del neoministro degli Esteri cinese, Qin Gang, non è fantascientifico ipotizzare il rischio, per la nostra economia, di dover affrontare nuove sanzioni, e questa volta a scapito della Cina. Il timore è concreto ed esiste già nelle principale banche svizzere, costrette a confrontarsi con la crescente preoccupazione dei clienti cinesi.
Lo «shock» - «Siamo scioccati dal fatto che la Svizzera abbia abbandonato lo status neutrale», le parole rilasciate a questo riguardo al Financial Times da un consigliere di amministrazione, che si occupa del mercato asiatico di una grande banca elvetica. Il quotidiano finanziario dedica infatti un approfondimento all'effetto che le sanzioni, comminate a Mosca, hanno generato nei «molto preoccupati» clienti cinesi. Lo stesso dirigente ammette inoltre di «avere prove statistiche di centinaia di clienti in procinto di aprire un conto» che poi non lo hanno fatto.
Parlano sei delle dieci maggiori banche - Parole condivise dai dirigenti di sei delle dieci più importanti banche svizzere, preoccupati per la velocità con la quale Berna ha agito nei confronti della Russia, oltre che per la futura redditività e crescita economica. E che confermano che le domande dei clienti asiatici, a fine anno, erano sempre le stesse: se i loro soldi fossero ancora al sicuro.
L'opinione degli analisti - Premettendo che il 10% del PIL confederato arriva dal settore bancario, Anke Reingen, analista finanziaria, ricorda al FT che «l'Asia è importante fonte di profitto per le banche svizzere», tanto che, sempre secondo l'esperta, le azioni delle banche «sono strettamente correlate agli indici asiatici».
Come detto però, la tensione internazionale - con Usa e Ue da una parte e Cina Russia dall'altra - incrementa l'incertezza e pone al primo posto dei consigli di amministrazione la questione su come rassicurare e proteggere i conti dei clienti cinesi. «Stanno tutti preparandosi per quello che verrà dopo», ha confermato alla redazione britannica l'analista Andreas Venditti.
L'occhio Usa sulle ricchezze cinesi in Svizzera - Ma dall'indagine giornalistica emerge anche un ulteriore elemento spunto di riflessione. Un diplomatico americano attivo a Berna ha confidato che funzionari del suo ufficio «guardano da vicino» alle ricchezze cinesi in Svizzera, che a oggi - secondo il FT - resta il primo centro a livello mondiale in fatto ricchezza offshore, detenendo un quarto dell'ammontare totale.
E se non vengono rilasciate cifre sulla ricchezza cinese allocata nella Confederazione, qualcosa in più, ormai da tempo, si sa su quella russa: 7,5 miliardi di franchi è la cifra congelata dalle sanzioni, a fronte di un totale di ricchezza "domestica" pari a 46,1 miliardi, appartenenti a circa 7 mila e cinquecento cittadini russi.
La clientela tipo - Ma qual è la tipologia del cliente cinese che "parcheggia" i soldi nelle nostre banche e che ora non si sente per niente tranquillo? Se i dati rilasciati lo scorso 2014 all' International Consortium of Investigative Journalists parlano di famiglie esponenti dell'élite politica ed economica di Pechino (come il figlio dell'ex premier Wen Jiabao), secondo le banche contattate dal FT, la maggior parte di essi sarebbero imprenditori con a portafoglio cifre che vanno dai 10 ai 50 milioni ciascuno. Perderli «sarebbe un duro colpo».