La prima comparsa in edicola del Re del terrore? Il 1° novembre 1962
ROMA - Nella notte di Clerville una figura si muove furtiva, il suo coltello brilla nel buio, lanciato con precisione implacabile contro un bersaglio umano, i diamanti illuminano la notte finché la nera figura del ladro inafferrabile non li fa suoi.
Era il 1 novembre, forse una data non casuale, del 1962 quando il Re del terrore (titolo del primo album) fece la sua comparsa in edicola a Milano e dintorni. Era la prima apparizione di Diabolik che 60 anni dopo appare ancora in piena forma e si prepara a tornare anche sullo schermo con il secondo episodio della saga firmata dai Manetti Bros.
Per Diabolik, comunque, si deve ormai parlare di una autentica epopea, con fan di tutte le età che ne rinnovano il mito, riedizioni e revisioni di lusso, imitatori ed epigoni: un fenomeno che rivaleggia solo con l'eterno James Bond ed è diventato nel tempo un cult internazionale con traduzioni dall'Argentina agli Stati Uniti.
Mentre molto si sa sulla genesi del personaggio e sulla sua rapida fortuna editoriale, è stato necessario aspettare oltre cento numeri per conoscere più da vicino infanzia, vocazione e prime esperienze del fantomatico ladro dagli occhi di ghiaccio.
Tutto nasce dall'esperienza familiare di Angela Giussani, moglie dell'editore Gino Sansoni esperto in ammiccanti pubblicazioni pulp, donna indipendente e piena di idee in una Milano che si trasformava rapidamente in metropoli europea alla fine degli anni '50. Leggenda vuole che dopo due anni di fallimenti in proprio con la casa editrice Astorina, rielaborando una storia ispirata dalla lettura di "Fantomas", Angela scriva il primo episodio ("Il re del terrore") e lo faccia illustrare nella sua cucina da Zarcone, presto raggiunto da altri giovani disegnatori.
Dopo 14 avventure, accolte con crescente successo, si fa affiancare dalla sorella minore Luciana che ne proseguirà il lavoro fino al nuovo millennio. All'inizio di quest'anno con una festa speciale e un albo fuori serie si contavano 900 titoli, anche se è facile perdersi tra riedizioni, numeri speciali e ricoloriture.
Ben più sfumata è la biografia del personaggio che si rivelerà solo oltre sei anni dopo, nel 1968, quando abbiamo appreso che Diabolik è orfano, è stato cresciuto in un'isola dominata dal capo brigante King i cui scagnozzi istruiscono il ragazzo finché questi non sopprime il suo maestro, fugge e assume una falsa identità per stabilirsi nell'immaginaria città di Clerville.
Alla terza avventura Lady Eva Kant entra in scena (prima vittima e poi complice), rimpiazzando la precedente fidanzata Elisabeth e venendogli in soccorso quando sembra ormai in trappola braccato dal suo celebre avversario, l'ispettore Ginko (dal nome di Gino Sansoni con l'aggiunta di un'inevitabile K).
Proprio questa trama (la terza storia, finita perfino in tribunale con l'accusa, poi prosciolta, di istigazione alla violenza) è stata usata dai Manetti Bros per il loro "Diabolik" uscito a Natale dello scorso anno, mentre la prossima pellicola, attesa a novembre, si rifà al 16 numero di Diabolik, "Ginko all'attacco" del 1964.
Una terza versione per il cinema è in programma nel 2023, ma per molti il vero volto di Diabolik (che le sorelle Giussani ricalcavano sui tratti di Robert Taylor) rimane quello del seducente e inespressivo John Phillip Law i cui occhi azzurri erano il punto di forza del film di Mario Bava (Diabolik, 1968), un delirio psichedelico in piena pop-art.
Del resto quello è il periodo in cui la moda di Diabolik diventa seminale in Italia, dalle versioni alternative a fumetto (tra Satanik e Kriminal) alle parodie ("Arriva Dorellik"), fino alle canzoni (memorabile una versione musicale a firma di Betty Curtis).
Per un paio di decenni il ladro senza pietà rimarrà poi confinato alle edicole, finché a metà degli anni '90 non viene resuscitato dalla pubblicità, dai videogiochi, dalla tv con una serie animata (40 episodi), fino al trionfale ritorno al cinema nella stagione dei supereroi con cui però la creazione delle sorelle Giussani non ha nulla a che fare. Adesso siamo forse pronti per una nuova era, quasi a dispetto del politically correct.