Il testo della preghiera (in latino) messo in musica da Marco Santilli Rossi: un piccolo gioiellino pop
LUGANO - Il pop (inteso nel senso più nobile del termine, quello di "popular music") ha più volte toccato l'ambito del sacro, della religione. Ripensiamo (un esempio tra tanti) al "Pater Noster" new romantic di John Foxx, all'inizio degli anni Ottanta. Non stupisce più di tanto che il musicista e compositore Marco Santilli Rossi abbia pubblicato lo scorso 26 febbraio questa "Ave Maria", in una intensa versione per piano e voce.
Il brano, mi dicevi, ha avuto una genesi singolare...
«La melodia mi frullava in testa da tempo, forse da un anno. Facevo però molta fatica a trovarle un testo di un certo peso, che si sposasse con questo motivo musicale che, per me, è significativo. L'illuminazione è giunta mentre stavo nuotando: spesso accade che, mentre si fanno esercizi, i pensieri trovano un loro ordine nella mente. Quindi è spuntato un testo, che ho memorizzato ricantandolo più volte. Ma era molto negativo e pieno di rancore, basato su esperienze personali che non sto qui a rivangare».
Come si è passati dalla quasi invettiva alla preghiera?
«Siccome la mia fede vacilla un po', mi sono detto che, prima o poi, mi piacerebbe comporre una Messa. Sono andato a vedere su Internet di quali movimenti è composta e i relativi testi. Per caso il mio occhio è caduto sul testo latino dell'Ave Maria. Ho provato a canticchiarlo, accorgendomi che rispecchiava perfettamente la metrica del mio pezzo. Forse una cosa del genere avviene spesso agli altri musicisti, ma a me non era mai capitata... Quindi, quel giorno, ero davvero entusiasta».
Come ci si approccia a un testo sacro, sapendo che si sta per dargli una veste pop?
«Non ci ho pensato neanche molto, sul momento. Non mi sono fatto nessun tipo di problema perché stava in piedi con questo arrangiamento al pianoforte e me la sentivo addosso. Qualcuno mi ha detto che avrei potuto fare qualcosa di più ritmico, ma non ne sentivo affatto la necessità. La preghiera è qualcosa di intimo, è un momento di riflessione».
E la scelta del latino?
«Una felice coincidenza, io non ci faccio caso. Si vede che, in uscita dal lockdown, avevo bisogno di un testo così, scarno e che infondesse pace».
Un brano del genere sarebbe stato nelle tue corde anche se non ci fossimo trovati in tempi di pandemia?
«Penso di sì, alla fine. Non è un caso che voglia comporre un giorno una Messa, forse per potermi guadagnare il Paradiso (ride, ndr). Forse, dopo aver fatto l'altro testo (che ho cestinato), avevo bisogno di trovare un equilibrio con qualcosa di più spirituale. L'esigenza di trovare una relazione profonda con me stesso».
Hai dimostrato, nel corso della tua carriera, un deciso eclettismo e di saperti adattare: com'è stato farlo, in era Covid?
«Come tanti, all'inizio ho riscoperto la calma che è stata la diretta conseguenza del primo lockdown. Mi sono messo a pensare a me, al mio corpo, come alimentarmi e fare esercizi. Ho anche studiato, sia per il clarinetto che la voce. Ho avuto modo anche di fare quattro concerti in estate. Ora è sopraggiunta la necessità di avere contatti con le persone, anche per la musica: suonare da soli o a distanza non è il massimo. Mi sono detto che questo è il momento di guardare intorno a me e scoprire un po' di musicisti. Ho avviato una collaborazione con un chitarrista argentino e c'è qualcosa che si sta muovendo in ambito più elettronico. Guardo avanti, semino e un giorno sono sicuro di raccogliere».