Fenomeno virale su Netflix la serie survival sudcoreana è davvero una sorpresa (ma per stomaci forti)
SEUL - Giocare è bello. Anche crescendo, ammettiamolo, continuiamo a farlo - in un modo o nell'altro - spesso ricordando con piacere quelli che facevamo da bambini. Però, e c’è un però importante, se le condizioni cambiano anche i giochi possono trasformarsi in incubi, e allora sì che iniziamo a vederli in modo diverso.
È in particolare chi ha visto “Squid Game”, la nuova serie coreana di Netflix arrivata dal nulla fino al primo posto in classifica in Svizzera, a non vedere più tanto distanti i confini tra gioco, e incubo.
Gli spettatori che decidono d’imbarcarsi nel viaggio propostoci dal regista Hwang Dong-hyuk si preparino quindi a emozioni forti, per accompagnare Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) in una disperata competizione con altri 455 giocatori dove il montepremi è ricco, ricchissimo, ma anche dove non si può sbagliare. Pena, la morte.
Il campo di gioco, quello del parchetto dell'infanzia, si tramuta così in un campo di battaglia in cui l'un-due-tre-stella, il tiro alla fune e altri giochi infantili si trasformano in prove capitali. E sono avvisati quelli con lo stomaco più deboluccio, di splatter ce n'è a catinelle.
La chiave di lettura, quella del survival game che in Occidente abbiamo scoperto con “Hunger Games”, in oriente ha in realtà una tradizione ricca che parte dai manga, per arrivare in televisione e al cinema. Qui il gioco, che di per sé è già una pratica sociale, diventa una metafora e critica/parodia della stessa mettendone in discussione valori e modalità.
In questo senso “Squid Game” non si discosta molto dai suoi "colleghi" mettendo in scena una gara disperata fra gente indebitata e finita sul lastrico per motivi diversi. Dall'anziano solo e malato, passando per il migrante e il licenziato fino a quello spennato dalla borsa, ciò che ne esce è un ritratto abbastanza onnicomprensivo e sfaccettato.
Successo virale e di passaparola, “Squid Game” è di sicuro una piacevole sorpresa di questo settembre comunque ricchissimo di uscite di peso. Per lo spettatore ticinese una barriera potrebbe però essere la lingua (l'italiano non c'è) e il doppiaggio in inglese è francamente terrificante. Forse meglio puntare sin da subito al coreano con i sottotitoli in italiano.